Scende la sera by admin 

Scende la sera by admin

Scende la sera. Siamo seduti proprio sotto l’angolo nord-est del tempio Maya delle Iscrizioni e, guardando verso nord i nostri sguardi si perdevano nella giungla.

La notte inizia ad avvolgere questo luogo magico e crudele allo stesso tempo.

Abbiamo molti ricordi legati a questi luoghi, è il punto di partenza del nostro primo ed unico viaggio insieme.

Ci siamo incontrati qua dieci anni fa.

Quando conobbi Marzia era un giorno di sole e i suoi capelli blu mi ricordavano le onde del mare. Lunghi riccioli blu che cadevano morbidi e delicati sulle spalle. Era conturbante nella bocca, nello sguardo, nei capelli … e poi aveva un modo tutto suo di indossare i vestitini a fiori in stile Lolita!

Vestiti a fiori un posto come questo.

Faceva parte della squadra di archeologi e astronomi che studiavano il Ragno nazca. Era approdata in Messico per alcune ricerche e sarebbe ripartita due giorni dopo alla volta del Perù.

Ci trovammo subito. Entrambi eravamo affascinati dalle civiltà che avevano vissuto in quei luoghi.

Voleva vedere il Machu Pichu. Mi inondava di parole e nozioni sugli allineamenti astronomici che facevano pensare all’esistenza di una civiltà precedente agli Inca.

Era un vulcano di parole e di vitalità. Così le promisi di accompagnarla nel pomeriggio a vedere “l’attracco del Sole”.

La strada per arrivarci era molto più impervia del solito a causa della pioggia caduta nei giorni passati.


Ma dopo un paio di ore di cammino arrivammo, attraversato il cancello ci accolsero le imponenti murature a puzzle. Non c’erano molti turisti, qualche figura qua è la, assorte dalle massicce fortificazioni e dalle leggende che portavano con se.

Anche a Marzia piacevano le leggende e le storie che si narravano sui quei luoghi .

“Gli dei si riunirono e si chiesero ansiosi chi sarebbe stato il nuovo Sole. Qualcuno dovrà sacrificarsi e solo allora ci sarà il Sole”

Era in piedi sulla roccia e con una mano indicava il cielo.

Mi avvicinai, lei si abbassò e mi baciò. Sentivo la sua lingua sfiorare la mia. Si stacco di scatto da me, sgrano gl’occhi e mi confidò di voler essere lei il nuovo sole.

Mi colse di sorpresa …. Non capivo. Mi afferrò per il bavero della camicia e mi spinse sulla roccia più alta.

“ sei tu la vittima da immolare”

fu sopra di me, mi avvolse in un abbraccio soffocante. Sentivo il suo profumo e sentivo battere il suo cuore.

Marzia sciolse l’abbraccio divaricando le gambe si accovaccio su di me. Il suo sguardo era di fuoco. Mi spogliò lentamente. Le sue mani perlustravano il mio corpo. Ero immobile, le mie membra non ubbidivano al cervello, per quanto mi sforzassi di toccarla le mie mani non si muovevano, le gambe erano pesanti ….

Le labbra del sesso di lei si chiusero sulla mia erezione e il gelo mi avvolse e mi ritrovai ad urlare. Lei diede inizio alla sua danza di sussulti e fremiti.

Gridavo e graffiavo il terreno, spinto al terrore estremo del piacere che sentivo risalire nel midollo spinale.

“non aver paura” mi sussurrava. Poi si staccò lasciandomi tremante sulla nuda roccia.

La implorai di non lasciarmi, di non smettere.

L’unica cosa che mi disse fu “Puna” e se ne andò.

Con fatica mi alzai, mi vesti e le corsi dietro. Volevo capire, Puna cos’era, cosa significava.

Più chiedevo spiegazioni più lei si chiudeva nel suo silenzio.

Stavamo per arrivare al campo, quando stufo ed irritato da quel mutismo la presi per un braccio e fissandola le chiesi spiegazioni.

“Puna è un altopiano dell’Ecuador, varia tra i 4.000 e i 5.000 metri, ha i colori del sole, tutt’intorno ci sono i grandi vulcani andini: viola, verdi e rossi. Il cielo è un cristallo. Puna è una parola “quechua” e significa deserto. L’unica cosa che c’è lassù è il sole. Parto stasera se vuoi venire c’è un posto”

Non me lo feci ripetere due volte. Arrivati all’accampamento raccolsi le mie cose e dopo poco eravamo sull’aereo che ci avrebbe portato a Quito. Sorvolammo l’oceano Pacifico sotto di noi il buio. Lei si addormentò poco dopo il decollo.

Mi ritrovai a pensare a quello che era successo quel pomeriggio era tutto incredibilmente assurdo la mia compagna di viaggio era assurda. A pensarci bene sembrava il personaggio folle di qualche film americano.

Ma era quella follia che amavo in lei e che amo tutt’ora. La guardavo mentre dormiva e mi accorgevo che aveva il fascino di chi sa esattamente quello che vuole e non ha paura a prenderselo.

Mi addormentai anch’io. Ci risvegliammo entrambi poco prima dell’atterraggio.

Era mattina e poco fuori da Quito c’era una jeep che ci aspettava per accompagnarci a Guaranda.

Marzia chiese al ragazzo che ci doveva accompagnare di tornarsene da dov’era venuto perché non voleva nessun altro che me.

La lascia fare.

Mi diede le chiavi, la carta geografica e partimmo.

Per più di mezz’ora non pronuncio parola, finché con un dito mi indico il “salar” mi dovetti fermare perché come diceva lei “non ci correva dietro nessuno”. Scese e andò a vedere da vicino.

Ripartimmo. Intorno a noi il nulla e su di noi il sole.

Colpisce della Puna il silenzio assoluto. E’ un silenzio pieno e gonfio, ti entra dentro e porta pace.

Dopo due ore di viaggio, Mi guardò e con un tono più di meraviglia che di preoccupazione me annunciò che ci eravamo persi!

“ non che non ci siamo persi”

“si invece”

La luce fortissima del cielo la attraversava da parte a parte, è l’ombra che improvvisamente si stampò sul suo volto, la mostrava in una bellezza lancinante.

“Come dici tu, non ci corre dietro mica nessuno, giusto?”

La Puna è veramente bella, è ogni tanto il paesaggio cambia ed è facile perdersi.

È come la superfice di una grande sfera senza appigli, né asperità di sorta e stabile un prima ed un dopo è difficile.

Nessun grido poteva squarciare la superfice della sfera, come più o meno in un sogno. Eravamo parte di quella sfera. Non ne potevamo uscire.

Fermai il fuoristrada ed uscimmo. Mancava l’aria.

Rientrammo in macchina

“ che ne sarà di noi”

Mi si accoccolo a fianco, La strinsi a me, le accarezzai le guance seminascoste dai capelli, poi il collo. Le labbra di Marzia erano secche come carta crespa. Le inumidii a fatica. I baci nella Puna non possono durare molto. Ogni bacio è breve, è un assaggio di bacio, e poi bisogna riprendere fiato, e il sangue martellava nelle tempie e il mal di testa cresceva fino a esplodere. L’eccitazione di lei era già robusta sebbene il sangue scorreva più lentamente.

Non sapevo fino a che punto spingermi, per un attimo mi chiesi se non era il caso di smettere e trovare una soluzione al nostro smarrimento.

Staccai le labbra da quelle di Marzia, mi guardò senza sapere cosa fare o cosa dire, smarrita com’era in quei baci sincopati ed interrotti.

Poteva essere la nostra ultima notte, pensò Marzia e lo spavento accresceva l’eccitazione nuova, mescolata al mal di testa e alla poca aria dell’abitacolo già freddo.

Marzia s’abbandonò al soffocamento come ad un’altalena, le cui oscillazioni la portavano sempre più in alto per poi sprofondarla a grande velocità e in fondo non c’era niente se non il fiato che manca e la voglia di ricominciare.

Ci lasciammo sprofondare ad occhi chiusi e a bocca aperta, impastata dalla poca saliva.

L’aria mancava, il soffocamento cresceva, il pulsare del sangue disperato correva su e giù per il corpo in cerca di ossigeno, il cuore che batteva sempre più forte.

Era la nostra ultima notte d’amore, era la nostra notte della fine del mondo e Marzia sorrideva senza sapere se era un orgasmo quello che l’aveva afferrata, schiaffeggiata e tramortita oppure se era l’ossigeno che se ne era andato del tutto e fuori c’era soltanto la notte fredda e l’aria era vuota. Il silenzio altissimo e la nostra terra era finita …….. un pò come questa notte che sta scendendo nuovamente su di noi, su questi luoghi magici e crudeli. L’unica differenza e che noi, ora abbiamo una nuova terra ed un nuovo sole.


Zell

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