Aprimi by Rupescissa 

Aprimi by Rupescissa

Sabato pomeriggio.

Claudia era uscita da circa tre ore regalandomi un’inaspettata, quanto gradita, pace. E’ durante questi rari momenti di quiete che amo dedicarmi alle mie letture più impegnative, quei testi carichi d’antica saggezza che per loro intrinseca natura risultano ostici alla mente disturbata da continue sollecitazioni. Solo quando si cade in uno stato di torpore, del tutto simile a quello generato dal troppo cibo o dalla stanchezza, ma con la mente vigile, si possono comprendere appieno gli insegnamenti celati tra le righe, apparentemente casuali, dei testi ermetici.

Così insegnava Ermete all’inizio del suo più importante libro del Corpus Ermeticum: il Pimandro.

Questo era il volume che tenevo tra le mani domandandomi chi o cosa fosse il personaggio citato dal tre volte maestro nelle sue righe iniziali:



“Un giorno, mentre stavo riflettendo sugli esseri, col pensiero elevato alle cose supreme e coi sensi corporei assopiti – pur non trattandosi di sonno come quello di chi è oppresso da sazietà o da stanchezza, - mi parve che un ente di smisurata mole mi chiamasse per nome e mi dicesse:

- Che cosa desideri udire, vedere, imparare e sapere?

Chiesi io a mia volta:

- E tu. Chi sei tu?

- Io sono Pimandro – rispose – la mente suprema. So già quel che tu vuoi e sono ovunque con te.”



“So già quel che tu vuoi e sono ovunque con te!”

Parole diverse, forse, ma concetto identico. Era in questo modo che m’aveva salutato Claudia mentre varcava l’uscio di casa. Nonostante tutti gli sforzi il pensiero tornava sempre a lei; c’era qualcosa nei suoi occhi: un lampo di luce, un ammiccamento, un’espressione d’intesa, non saprei dire, che aveva rapito la mia fantasia costringendola a creare proprio quando avrei desiderato un maggiore apporto della ragione nella mia attività.

Mi arresi. Conoscevo bene la mia mente e sapevo che non potevo distoglierla facilmente dai pensieri ludici. In queste occasioni mi rendevo conto di quanta strada dovevo ancora percorre, della mole di lavoro ancora da svolgere, per chiarificare la mia anima sublimando gli istinti animali. Spesso mi domandavo se Claudia fosse l’icona della materia impura di cui dovevo disfarmi per salire il primo gradino sulla scala della saggezza o se, peggio, incarnasse l’ostacolo posto dal grande Nemico sulla mia strada. Sta di fatto che mi lasciavo invadere dalla sensualità, permeare dallo spirito femminile, e vincere dal corpo della mia donna senza opporre alcuna resistenza. Con buona pace del Karma.



Lasciai libera la memoria di ricreare, per il mio diletto, le fasi salienti di quel pomeriggio.



- Devo fare un salto in centro più tardi, ho appuntamento con Sonia… vuoi venire con noi?



Mi domandò mentre assaporavo il caffè al termine del nostro veloce pranzo. Fu sufficiente sollevare un sopracciglio per lasciarle intendere che non avevo la minima intenzione d’uscire. Uno stentato “ok” fu la sua risposta. Così ci dedicammo ognuno alle sue faccende sino al momento in cui colsi il suono dell’acqua della doccia. Passando innanzi al bagno notai che Claudia aveva lasciato la porta semi aperta nonostante la stagione non più calda; solitamente si rinchiudeva per bene nella stanza in modo da conservare il calore emanato dalla doccia. Questa, immagino per nulla casuale, distrazione, mi consentì d’osservare il suo corpo in una delle migliori condizioni. L’acqua rendeva lucida la pelle ed unitamente ai capelli bagnati donava alla sua sensualità un aspetto animale tremendamente eccitante. La perfezione della pettinatura era capace d’esaltare i lineamenti del viso o la morbida linea delle spalle, ma spesso l’imperfetto eccitava di più. Così, i suoi capelli bagnati e aderenti al viso accendevano in me le più calde fantasie. Claudia era conscia di questo, come pure lo era dell’effetto che il suo corpo teso e plasticamente curvato, mentre sollevava il getto della doccia per bagnarsi, aveva su di me. Non aveva volto lo sguardo nella mia direzione e nemmeno poteva scorgermi nello specchio del bagno, ma sapeva che ero lì; anni di giochi trasgressivi insieme le avevano insegnato a riconoscere i miei occhi quando li sentiva sulla propria pelle. In questi casi i suoi movimenti, pur mantenendo un’esteriore normalità, divenivano più languidi. La osservavo spargere il sapone sulla pelle con scrupoloso metodo sino a raggiungere ogni anfratto e quindi massaggiarsi a lungo con morbide carezze. Era uno spettacolo forte ed avvincente tanto da farmi dimenticare il resto del mondo, mi stupivo, sempre, dopo tanti anni insieme come potessi trovare ancora attraente il suo corpo. L’abitudine è il primo nemico di una coppia, ma pareva nel nostro caso un pericolo lontano. Non sapevo se attribuire questa fortuna ai giochi erotici trasgressivi o alla grand’attrazione fisica che ci aveva unito sin dall’inizio, sta di fatto che non m’ero ancora abituato a lei.

La lasciai alle sua abluzioni per dedicarmi alle mie faccende, dovevo controllare la posta elettronica per vedere se, finalmente, un caro amico fraterno mi aveva spedito la versione elettronica di un testo introvabile in libreria. Catturato dal monitor dimenticai il tempo sin quando percepii la voce di Claudia alle mie spalle:



- Hai qualcosa per togliere i punti metallici da questa gonna?

La lavanderia attacca sempre in questo modo i cartellini con il numero… li odio!



Mi voltai verso la voce, mentre annaspavo nelle mie tasche alla ricerca del coltellino svizzero dotato d’idonea pinza, e mi trovai innanzi due lunghissime gambe dentro delle magnifiche calze autoreggenti. Deglutii a fatica prima di sollevare lo sguardo e cogliere i dettagli di una camicetta grigio chiaro aperta sul seno e, ancora più su, gli occhi di Claudia imploranti.

Mi feci dare l’indumento e, con molta attenzione, aprii le graffette metalliche per sfilarle senza danni dal tessuto; quindi le passai la gonna. Due labbra caldissime e morbide si appoggiarono sulla fronte mentre un delicato “grazie” mi risuonava nelle orecchie. Ripresi i sensi in tempo per vedere i glutei di Claudia, separati dal sottile filo del tanga, allontanarsi da me.



- Sicuro di non voler venire? – domandò voltandosi.



Il doppio senso della domanda era evidenziato dallo sguardo complice, decisi di rispondere con un altrettanto sibillino:



- Dopo!



Claudia sorrise apertamente, quindi si allontanò.



Considerate le premesse non era impossibile immaginare le difficoltà di concentrazione che mi assillavano quel pomeriggio, avrei dovuto capirlo subito e dedicarmi ad altro, meno impegnativo, compito. Invece ero lì, seduto sulla poltrona della sala, con in mano il libro d’Ermete. Fermo alla prima pagina non provavo il senso di colpa che tipicamente m’assale dinanzi al tempo perduto. Quella era una rilettura del testo con il chiaro intento di meditare sulle parole del tre volte maestro. In fondo, l’analisi delle fonti di “distrazione” era un passo avanti per la mia crescita spirituale. Ammesso di eliminare, in seguito, queste sorgenti d’eccitazione dei sensi.

Mi chiedevo se non potessi utilizzare queste forti sollecitazioni sensuali generate da Claudia ed il conseguente torpore, nato dalla piena soddisfazione del desiderio sessuale, per raggiungere quello stato così ben spiegato nelle prime parole del Pimandro. In effetti, il languore post-coitale non era molto dissimile dalla pace dei sensi auspicata dai maggiori ermetisti.

Cosa c’è di meglio del soddisfare pienamente un desiderio per non essere più schiavi di esso?

Eliminare ogni coinvolgimento fisico, terreno, è il punto di partenza per liberare la mente, lo spirito e l’anima secondo i vecchi saggi; ma il soddisfare, e quindi, tacitare, i sensi conduce allo stesso risultato con maggior soddisfazione. Anche se il piacere è ingannevole nella sua fugace intensità; ti spinge a ritenere il languore il vero ed unico fine degno d’assidua ricerca, invece nasconde, dietro la fisicità della sensazione di benessere, il vuoto mentale dell’anima. Il piacere deve quindi ritenersi esclusivamente il mezzo e non il fine.

Pensieri oziosi che si rincorrevano nella mente nel tentativo di scacciare le immagini persistenti di Claudia; come quella di lei dinanzi allo specchio dell’ingresso mentre sistemava la gonna, poco prima di uscire. Notai come misurava, con occhio critico, la lunghezza dell’indumento prima di sollevarlo un poco in vita per scoprire ancora qualche centimetro delle gambe. Sapevo che l’esame finale sarebbe stato il sedile della macchina: a lei piaceva lasciar intravedere, ma non spudoratamente, la fascia elastica delle calze autoreggenti mentre guidava.

Una particolare che mi ha sempre incuriosito è la diversa lunghezza delle sue calze, alcune le arrivano a mala pena a metà coscia, altre salgono sin quasi all’inguine. La maggior parte, però, è della giusta misura. Lei sceglie maliziosamente le calze in base alla lunghezza della gonna, credo trovi eccitante sentire la fascia elastica al limite del bordo. Un particolare questo che la costringe sempre a movimenti misurati lasciandole, però, la possibilità di scoprire e mostrare quel particolare tremendamente eccitante quando lo ritiene opportuno. È come se uscisse con un arma carica e senza sicura; uno strumento di seduzione che lei sa gestire al meglio e di cui non può farne a meno, anche quando prevede di non aver occasione di utilizzarlo.

Il potenziale di seduzione: questo eccita ma ancor più rassicura Claudia. La sua sicurezza, tanto ostentata in più occasioni, nasce dalla consapevolezza delle proprie potenzialità seduttive. Spesso i nostri giochi trasgressivi avevano come punto di partenza proprio questo. Sfidare Claudia sulle sue capacità di seduzione equivaleva a spingerla verso le più eccitanti trasgressioni, era il metodo sicuro per consentirle di superare ogni blocco psichico.




Come sempre, quando ero preso dai miei pensieri, non mi resi conto del tempo e del suo inesorabile scorrere. Quando percepii, ai limiti della coscienza, il rumore della serratura della porta esterna che scattava era quasi ora di cena. Mi risvegliai dal mio torpore e richiusi il libro rimasto inutilizzato alla prima pagina, domandai mentalmente scusa ad Ermete e cercai la volontà d’alzarmi per andare incontro alla mia donna; mi pareva bello salutarla con il dovuto calore. Sono queste piccole cose che mantengono vivo un rapporto. Claudia, però, aveva in mente un modo senz’altro migliore per consolidare i nostri legami.

La vidi apparire sulla soglia della sala, restò per un lunghissimo attimo in penombra appoggiata allo stipite della porta, poi lentamente si avvicinò a me. Mentre camminava un raggio di sole al tramonto rasente al pavimento iniziò ad illuminarle prima i piedi poi, poco alla volta, le gambe. Era uno spettacolo da togliere il fiato, soprattutto se pensavo a cosa potesse preludere quel suo particolare modo di muoversi.

Quando mi fu dinanzi, con una sola mossa veloce ma aggraziata, sollevò la gonna sino a limite del pube, senza però scoprirlo, quindi si mise a cavallo delle mie ginocchia. Si sedette sulle mie gambe senza appoggiare tutto il peso per inclinare il busto in avanti, verso di me, e cercare un bacio. Le labbra che trovai improvvisamente contro le mie erano deliziosamente morbide e calde, segno inconfondibile della sua voglia. Lasciai che fosse lei a stabilire la lunghezza e le modalità del bacio, intanto, non potendo resistere alla tentazione, appoggiai le mani sulle sue gambe. Amavo in modo particolare la sensazione che le calze donavano alla mia pelle, mi piaceva scorrere sulle sue cosce scivolando dolcemente su quel materiale che le rendeva ancora più eccitanti. Claudia respirava a fatica con la lingua dentro la mia bocca, la sua eccitazione la costringeva ad inspirare una quantità d’aria maggiore del normale; quando allontanò le labbra dalle mie inalò profondamente poi mi sussurrò:



- Aprimi!



Lascia passare un tempo da lei ritenuto eccessivo e che giudicò dovuto ad una mia incomprensione della sua richiesta, allora disse a voce più alta:



- Aprimi, ti prego!



Fissai i suoi occhi dilatati dalla passione mentre facevo avanzare le mani sull’interno delle cosce verso l’inguine. Claudia tratteneva il respiro per cogliere ogni particolare della mia avanzata sin che non raggiunsi il pube. Non mi stupii di trovarla senza biancheria, gli slip poteva esserseli levati poco prima di entrare in sala o in altra occasione. Quando usciva con Sonia ero pronto ad aspettarmi di tutto da lei. Appoggiando le dita sulla vulva rimasi colpito dal gran calore che emanava, allora giocai con le grandi labbra stuzzicandole nell’aprirle ma senza spingermi oltre. Mi divertiva osservare lo sguardo di speranzosa attesa sul viso della mia donna. Separai con cura le labbra per consentire al mio dito di scorrere lungo tutta la superficie della vulva, sfioravo il clitoride per passare immediatamente al punto in cui il corpo di Claudia si apriva pronto ad accogliermi. Era umida, oltre che calda, ed i suoi umori iniziavano a colare lungo il dito sin sul palmo della mano. Non mi capitava spesso di trovarla tanto eccitata all’inizio di un rapporto, solitamente era solo il calore a testimoniare il desiderio, gli umori venivano abbondanti solo quando cominciava a provare piacere.

Claudia rimaneva immobile con la schiena ritta e le mani appoggiate sulle gambe, era concentrata sulle mie azioni con gli occhi socchiusi ed i lineamenti del volto tesi nell’attesa. Con la mano libera tentai di sbottonarle la camicetta, desideravo liberarle la pelle per respirare il suo profumo. Non fu un’operazione facile, con la sinistra non avevo la manualità della destra, ma avevo tempo e mi divertiva tenere Claudia in quello stato d’attesa. Solo quando notai che le labbra, aprendosi, stavano per formare la prima lettera della sua supplica, la soddisfai.

Avvicinai il dito medio al punto focale del suo sesso e la penetrai. Lei emise un lieve sospiro di sollievo, capivo dalla sua dilatazione interna quanto desiderasse sentire qualcosa di solido per colmare il doloroso vuoto che sentiva. Non estrassi il dito per scivolare dentro e fuori di lei, mi limitai ad arcuarlo per tastare le pareti interne, quasi una visita ginecologica ma mirata alla ricerca dei suoi punti più sensibili. La conoscevo bene, sapevo dove spingere, quali punti stuzzicare, per farla godere. Ogni volta, però, scoprivo zone nuove, luoghi precisi dove una pressione o una delicata carezza stimolavano il suo piacere, mentre quelli già noti perdevano, in parte, il loro potere. M’incuriosiva non poco quest’aspetto di Claudia, spesso mi domandavo da cosa potesse dipendere. Non avevo mai conosciuto una donna che, come lei, manifestasse in modo così esplicito la migrazione dei punti erogeni. Ero giunto al punto d’attribuire alla fantasia questa sua singolare peculiarità. Se sfioravo il punto preciso in cui lei immaginava d’essere stimolata in quel dato momento davo corpo materiale al sogno, donandole un piacere che andava ad amplificare l’eccitazione generata dalla mente. In quelle occasioni la vedevo trasformarsi, il suo viso testimoniava il piacere assumendo delle espressioni così eccitanti da riversare su di me buona parte del godimento. Non era facile amare Claudia, ma sapeva ripagarmi d’ogni sforzo.

Lei mi guardò, fissò gli occhi sui miei mentre continuavo ad esplorarle l’interno della vagina. Era tesa, il corpo pronto a scattare mentre si mordicchiava il labbro inferiore; sentivo i muscoli delle cosce, a contatto delle mie gambe, tendersi e rilassarsi ritmicamente. Quando tentai d’unire l’indice al medio nel suo interno capii che era proprio ciò che voleva, riuscii ad infilarle l’altro dito senza alcuno sforzo. Ora poteva sentire meglio la mia presenza, ma capivo che non era ancora sufficiente da come si sforzava d’aprire le gambe; riuscì a divaricarle al massimo spingendo, allo stesso momento, in avanti il pube.

Ripensai alla richiesta di poco prima, la sola parola uscita dalla sua bocca da quando era rientrata: “ aprimi”. Temevo di farle male, ma dovevo tentare di soddisfarla, anche solo psicologicamente, quindi iniziai a spingere al suo interno anche l’anulare. La posizione era molto scomoda per me, l’angolazione che doveva assumere la mia mano era ai limiti della capacità naturali, ma riuscii, estraendola per poi infilarla nuovamente, nel penetrarla con tre dita. All’inizio riunii le mie estremità in modo da darle una forma vagamente cilindrica, poi osservando il volto di Claudia perso nel piacere, le allineai. Sentivo la vagina opporsi con forza, se la misura in larghezza delle mie tre dita allineate era minima quella in altezza era notevole, superiore a qualsiasi oggetto le avessi mai spinto dentro durante i nostri giochi. Tentennai, il dubbio di procurarle dolore ora aveva una reale consistenza, ma lei mi pregò ancora una volta con un sospiro:



- Aprimi!



Questa parola risuonò nella mia mente, in essa c’era tutta la femminilità della mia donna espressa come offerta incondizionata del suo corpo.

Spinsi con più forza vincendo ogni resistenza e mi ritrovai con le tre dita del tutto infilate dentro di lei. Claudia chiuse gli occhi mentre entravo, mi parve di cogliere una breve espressione di dolore, poi sospirò e gemette. Mossi delicatamente la mano estraendola per poi penetrarla nuovamente, poco alla volta il suo corpo andava adattandosi alla nuova presenza, gli abbondanti umori mi aiutarono in quest’impresa. Continuai in quel modo sin che colsi i primi sintomi di un forte piacere, allora cercai il clitoride con il pollice per stimolarlo ogni volta che riuscivo a raggiungerlo. La portai presto al limite dell’orgasmo non certo per merito del puro stimolo fisico, per quando intenso non era sufficientemente profondo, le dita della mia mano non potevano spingere dove lei amava sentire una presenza quando raggiungeva il culmine del piacere. Fu la situazione, il fatto d’essere penetrata da mezza mano, la fantasia soddisfatta, a farla godere.

Volevo darle di più. Intendevo soddisfare la sua richiesta sino in fondo ed “aprirla” come desiderava. Forse lei si riteneva appagata già in quel semplice modo, ma doveva sapere che una volta attivata la mia fantasia non mi sarei fermato.

Estrassi la mano, allontanandola dal pube quindi, nonostante l’espressione delusa di Claudia, la invitai ad alzarsi dalle mie ginocchia sollevandola delicatamente per la vita. M’issai dalla poltrona anche io e la guidai verso il divano, lei tentennò nell’attesa che mi sedessi per farla tornare su di me, magari dopo essermi spogliato, ma la voltai e la feci accomodare. Lei intuì la mia intenzione di prenderla distesa, allora portò il sedere sul bordo ed aprì le gambe dopo aver sollevato la gonna in vita. Era una visione davvero eccitante ed invitante; Claudia sapeva come offrirsi senza apparire volgare. Riusciva ad esprimere una femminilità tanto elegante e prorompente da eclissare l’oscenità di una posizione come quella che aveva assunto.

Osservai prima il volto alla ricerca di un segnale nei suoi occhi, poi lentamente scesi lungo il corpo. Mi piaceva guardarla e lei lo sapeva, quindi attendeva sempre con estrema pazienza che gli occhi terminassero di registrare la sua immagine. Inoltre a lei piaceva farsi guardare, era un giusto equilibrio il nostro. La camicetta aperta lasciava completamente scoperto il reggiseno, feci saltare verso l’alto le coppe in modo da liberare le mammelle, quindi mi chinai a baciarle i capezzoli mentre mi sbottonavo i calzoni. Era una piccola ma tremenda forma di tortura stimolare qui punti fortemente erogeni quando lei desiderava con tutta la sua essenza portare a termine la penetrazione interrotta poco prima, ma non riuscivo a resistere all’atavica attrazione verso quei punti del corpo femminile così importanti nei primi mesi della nostra vita.
Quando riuscii a calarmi i calzoni e gli slip abbandonai il seno per portare le labbra sulla vulva, sentivo il bisogno di percepirne il sapore, di soddisfare anche questo senso dopo la vista, il tatto e l’odorato. La mia lingua sul clitoride e poi sul buchino fece sussultare Claudia, sapevo di giocare con il suo orgasmo, era troppo avanti per reggere uno stimolo di quel genere, ma anche di questo non potevo farne a meno per avere, alla fine del rapporto, la sensazione di aver posseduto sino in fondo la mia donna.

Finalmente, per lei, allontanai il viso dal pube in modo da rizzare la schiena e guidare il membro dentro il suo corpo. La penetrai subito a fondo, era eccitata a tal punto da annullare quasi del tutto la mia percezione ma lei mi sentì. Gemette mentre sollevava il bacino per invitarmi a spingere ancora di più e mi ritrovai con i testicoli che premevano contro di lei. Le afferrai i glutei, e strinsi forte, per tenerla sollevata dal divano e premuta contro di me, mi piaceva sentirla intorno al mio membro, la sua carne che avvolgeva la mia. Lei, però, desiderava il moto. Claudia aveva superato lo stadio in cui amava sentirsi invasa staticamente dalla carne di un uomo ed ora bramava il ritmico ed incessante stimolo interno; appoggiò entrambe le mani sul mio petto e spinse per allontanarmi, un chiaro segno di ciò che voleva. La lascia cadere e portai le mani all’interno delle sue gambe per divaricarle ancora di più, quindi iniziai a muovermi molto lentamente. Parve apprezzare.

Claudia prese a contrarsi intorno al mio membro ogni volta che lo spingevo in lei, stringeva forte e rilasciava solo quando iniziavo a ritirarmi. Queste mosse incrementarono le mie sensazioni, ora percepivo chiaramente i dettagli interni del suo corpo ed il morbido abbraccio della carne mi stava portando in una zona pericolosa; se non mi fossi controllato avrei raggiunto troppo presto l’orgasmo. Fu proprio lei a venirmi inconsapevolmente in aiuto mormorando ancora una volta quell’unica parola: “Aprimi”.



Non era nel suo lessico. Claudia utilizzava diversi termini per indicarmi il desiderio di sesso. Quando voleva un incontro tenero, dolce e pregno di sentimento utilizzava espressioni del tipo: ti voglio, andiamo a letto, ho voglia, dammelo, e se noi…, prendimi, e così via. Nel caso desiderasse un incontro decisamente più animale i vocaboli divenivano leggermente più espliciti e al limite volgari come: scopami, riempimi, e via di seguito. Usava quasi tutte le parole che potessero lasciar intendere la sua voglia di sesso ma mai aveva detto: aprimi. Questa richiesta, ammetto, mi eccitava, ma non capivo da cosa nascesse. Forse rientrava nel gioco, iniziato parecchio tempo prima, della “nuova Claudia”; ma erano settimane che non se ne parlava più. Dopo le parziali delusioni nate dalla forzata recita di un ruolo in cui lei non si sentiva a proprio agio, solo per lo scopo di provare ad essere una donna diversa, era tornata quella di sempre. Anche se avevo notato una forte ispirazione quando interpretava il ruolo della schiava, nonostante ciò fosse contrario alla sua indole. Forse l’abbandonare ogni decisione operativa al suo uomo, durante l’amplesso, le consentiva di concentrarsi unicamente sul proprio piacere, da qui una lenta ma costante trasformazione di Claudia di cui il termine “aprimi” era indice.



Grazie a questi pensieri riuscii a controllare il mio piacere. Ritornato alla realtà mi accorsi d’avere entrambe le mani appoggiate al ventre di Claudia e di stimolare il clitoride alternativamente con il pollice destro e quello sinistro. L’istinto mi aveva guidato durante l’assenza della mente impegnata nell’analisi dei miei pensieri.

L’istinto, però, è più casto della mente; si limita a seguire quelle che sono vie già tracciate in precedenza mentre la mente crea nuove strade costantemente.

Feci scivolare i pollici verso il basso mentre ruotavo le mani verso l’interno in modo da portare i due indici a contatto della vulva. L’iniziale intenzione di leccarmi le estremità in modo da inumidirle, prima di portarle a contatto con la pelle sensibile della vagina, si dimostrò inutile considerata la quantità d’umori emessi da Claudia. Lentamente, con molta dolcezza, divaricai le grandi labbra per osservare il mio membro che si muoveva in lei. Rallentai per gustare sino in fondo quell’immagine, era incredibile come la vulva delle mia donna si apriva e richiudeva intorno al membro, pareva risucchiarlo per poi lasciarlo andare e quindi richiamarlo. La meccanica della penetrazione mi aveva sempre affascinato.

Claudia teneva il mio ritmo, nonostante provasse un intenso piacere non si muoveva in modo da indicarmi la velocità o l’intensità delle spinte com’era solita fare. Quest’osservazione andava ad avvalorare le deduzioni di prima, decisi di aprirla come aveva richiesto con tanta passione: puntai gli indici nel punto in cui il mio membro la penetrava e dolcemente iniziai a spingere. Claudia non comprese subito le mie intenzioni ma appena il dito destro scivolò dentro di lei insieme al membro capì. Fermai il dito dentro di lei e tornai ad estrarre il pene per tentare di spingerle dentro anche l’altra estremità della mano sinistra. Dopo due tentativi riuscii nel mio intento. Ora stavo penetrando la mia donna oltre che con il membro anche con gl’indici di entrambe le mani.

Sollevai lo sguardo verso il suo viso; aveva gli occhi chiusi ed un espressione concentrata, il respiro mi diceva che non mancava molto all’orgasmo nonostante l’assenza dei classici gemiti. Richiamai la sua attenzione soffiando il contenuto dei polmoni in direzione del seno e del viso, l’aria colpendo la pelle sudata rinfrescò la zona risvegliando Claudia dal suo stato di gaudente catalessi. Come i suoi occhi puntarono i mie iniziai a tirare, con estrema cautela, verso l’esterno con le dita infilate dentro di lei, al contempo intensificai le spinte.

Se voleva essere aperta, penso che nulla meglio di questo poteva soddisfarla. Le pupille di Claudia si dilatarono e bloccò il respiro dopo una profonda inspirazione, temetti d’averle fatto male e stavo per mollare la presa quando lei rilasciò tutta l’aria che teneva in un lungo urlo di piacere. Ebbe un orgasmo intenso seppur breve, il corpo era scosso da spasmi tanto violenti da costringermi a ritirare in tutta fretta le mani. Stentavo a rimanere dentro di lei con il membro e ogni tentativo di muovermi per donarle un piacere supplementare comportava il rischio d’uscire dal suo ventre. Mi limitai a spingere con forza sin quando non la vidi crollare esausta.



Claudia era inerme, letteralmente “spalmata” sul divano. Mi chinai su di lei e spinsi, al contempo, il membro a fondo prima di baciarla. Lei accettò il mio bacio rispondendo stancamente ma con passione. Conoscevo i suoi tempi e le lasciai recuperare le forze prima di esigere la mia parte di piacere. Subito dopo un orgasmo il corpo di Claudia è di una morbidezza incredibile ed emana un intenso calore, è piacevole attendere tra le sue braccia. La baciai ancora, cercai la sua lingua per intrecciarla con la mia, poco alla volta la sentivo sempre più partecipe. A mano a mano che le forze tornavano in lei, ed il languore lasciava posto ad un nuovo desiderio, la sua lingua cercava la mia con rinnovata passione. All’improvviso si staccò da me, prese il mio viso tra le mani ed iniziò a muovere il pube invitante. Ero sempre dentro di lei e le sue mosse risvegliarono il mio desiderio d’orgasmo. Seguii il suo tacito invito e tornai a muovermi. Le sue mani mi trattenevano il viso, non potevo rizzare le schiena in modo d’agire come prima, rimanevo adagiato sul corpo di Claudia che si muoveva sotto di me. Vedevo solo gli occhi della mia donna fissi sui miei, in essi vi leggevo un desiderio intenso, ma ora lei voleva il mio piacere, bramava leggere sul mio viso il godimento che poco prima le avevo dato. Claudia si muoveva per me, imprimeva al bacino ed al pube le orbite che sapeva stimolare meglio il mio membro, non potei resisterle a lungo e non c’era più motivo di trattenermi. Mi lasciai andare ai primi sintomi dell’orgasmo esplodendo dentro il suo ventre. Lei non si fermo, continuò a muoversi tentando di seguire i miei impulsi che sentiva dentro.

Lentamente e controvoglia uscii da lei per sedermi al suo fianco sul divano, dopo essermi sommariamente ricomposto. Claudia si sistemò più comodamente senza preoccuparsi di ricoprirsi, tirando giù la gonna dalla vita o chiudendo la camicetta completamente sbottonata, restò a lungo appoggiata con la nuca sulla mia spalla senza parlare. Osservavo quel corpo seminudo studiando i quasi impercettibili movimenti delle gambe o misurando i tempi del suo respiro; l’impressione era di una donna appagata e stremata. Ero tentato di domandarle spiegazioni, di scoprire quale fantasia l’avesse guidata in quest’amplesso e cosa le passasse per la mente quando mi disse: “aprimi”. Il valore che lei dava a questo termine andava oltre al semplice invito al sesso; si era abbandonata all’orgasmo solo quando l’avevo realmente aperta forzando con le mani il suo corpo, quindi intendeva sinceramente sentirsi aprire. Mi sconvolgeva questa constatazione per il significato recondito che poteva nascondere, temevo che Claudia iniziasse a trovare piacevole una sottile forma di dolore mescolata al piacere, non sarei mai riuscito a procurarle consapevolmente del dolore, pur anche blando e fortemente richiesto; poiché questo non rientrava nella mia visione del piacere.

Questa non era l’unica spiegazione; la sua richiesta poteva indicare il desiderio di concedersi totalmente a me, di offrirsi senza alcun limite come nel gioco d’alcune settimane prima quando mi disse di voler essere la mia schiava. Il termine “aprimi” assumeva, allora, un significato del tipo: “ecco, qui c’è il mio corpo. Puoi farne ciò che vuoi”.

Non dovevo dimenticare uno degli aspetti fondamentali del carattere di Claudia: il suo profondo ed incontrollabile egocentrismo. Vista sotto questo punto di vista quella richiesta diventava un ordine perentorio del tipo: “fammi godere e non ti fermare davanti a niente”.

Come sempre un incontro con lei durava più del semplice amplesso, mi lasciava la mente occupata da una moltitudine di pensieri, di dubbi, di fantasie e di sogni.

La frase: “So già quel che tu vuoi e sono ovunque con te!” rende perfettamente l’idea.

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