Racconti Erotici 

La primavera by Dick Tracy

La primavera, una situazione più che una stagione: l’aria si rende quasi magica, il profumo degli alberi in fiore penetra direttamente gli animi, i sensi si addolciscono e qualcosa migliora alcuni tra i più bei rapporti d’amicizia creatisi durante un lungo, grigio, ma significativo inverno.

Due anni fa, durante quel periodo particolare, io e la mia amica Antonella decidemmo di iniziare ad aiutarci vicendevolmente per gli ultimi impegni scolastici che ci affliggevano.

Fu così che un mercoledì come tutti gli altri le telefonai per invitarla a studiare a casa mia, dovevamo preparare un’importante interrogazione così lei accettò e circa una decina di minuti dopo era da me.

La accolsi con un dolce bacio sulla guancia invitandola a seguirmi in camera. Preso posto uno di fronte all’altro ci sedemmo alla scrivania e tirammo fuori i libri per cominciare.

Le prime domande furono rapide, con risposte istantanee che volevano preannunciare un cambiamento di programma imminente. Gli sguardi cominciarono ad incrociarsi mentre il silenzio dominava la casa.

Ad un certo punto:

“Che male…, che male!” –disse- “Queste scarpe sono atroci, posso toglierle se non ti dà fastidio?”.

Risposi con un cenno positivo mentre il mio sguardo era catturato in quella che era la più atroce trappola che avessi mai incontrato, una trappola tuttavia piacevole: quella dei suoi occhi!

Si liberò delle scarpe e il mio sguardo cadde verso il basso; quei piedi perfetti, nudi, mi facevano uno strano effetto… ripresi a fissarla negli occhi mentre sentii che uno dei suoi piedi sfiorava le mie gambe come una delicata carezza fino a raggiungere il capolinea. Si accorse subito che non indossavo slip ma solo un paio di pantaloncini sportivi, per giunta larghi; così dopo averlo stuzzicato dall’esterno scivolò dolcemente al di sotto dei pantaloncini… tutto iniziò pian piano a prendere forma e il movimento del suo piede sembrava diventare sempre più impetuoso, i nostri occhi erano fissi, i nostri sguardi s’incontravano, i nostri visi con estrema lentezza iniziarono ad avvicinarsi finché le nostre lingue non si sfiorarono e i nostri sensi caddero in un lungo quasi interminabile bacio.

Il suo piede era nel frattempo ritornato dov’era prima, lei mi guardò e mi disse:

“Voglio vederti suonare per me!”

Mi alzai e fissandola con un inteso sguardo le afferrai la mano trascinandola con me vicino alla consolle… misi su i primi due dischi e lei cominciò a muoversi sensualmente davanti a me.

Il pensiero di vedermi cimentato a suonare solo per lei la divertiva parecchio, seguiva perfettamente il ritmo della musica che era ormai diventato un tutt’uno col suo sinuoso corpo, Le sue mani accarezzavano lentamente il suo seno, stringendolo in una mossa erotica da paura.

La musica diventava sempre più il metronomo dei suoi movimenti mentre il mio pensiero volava verso l’orizzonte del suo corpo! Piegandosi lentamente sulle ginocchia apriva le gambe mentre le sue mani accarezzavano con impeto le cosce finché non raggiunsero la cerniera posteriore che reggeva la gonna, un gesto leggero ma deciso la fece cadere sul pavimento lasciando scoperte le sue mutandine di pizzo nere.

Ci volle poco perché si ritrovasse in lingerie davanti a me mentre continuava a ballare sulla musica che io suonavo per lei.

“Continua, non ti fermare!”.

Fu questo che pronunciò prima di continuare la sua performance dietro di me: cominciò ad accarezzarmi lentamente facendo suo tutto il mio corpo. La musica non si fermava mai, sembrava voler accompagnare in eterno la sua voglia di godere. Sentivo la sua lingua che lenta scivolava sul mio collo inumidendolo di saliva mentre il suo fiato mi assicurava che il suo godimento aumentava ad ogni battuta del disco. Una mano s’introdusse tra i miei pantaloncini ed afferrò quello che era diventato un grosso pezzo di carne voglioso di un posto sicuro dove rifugiarsi.

L’altra mano era pronta a sbottonarmi la camicia per scoprire il mio petto prossima meta della sua lingua… ci volle poco perché mi ritrovassi di fronte a lei mentre scendeva lungo il mio corpo appoggiando su di esso la punta della sua lingua, dal collo al petto lungo la pancia fino a raggiungere il mio cazzo: mi lasciai sfuggire un gemito di piacere che dette il via al suo modo maestoso di dimostrarmi come sa spompinarsi un grosso cazzo in piena regola!

La sua lingua lo percorreva dalle palle fin su la capocchia per inumidirlo ben bene, o meglio per prepararlo all’accoglienza che presto mi fece nella sua bocca: sentivo il suo calore che si sperdeva in tutto il mio corpo regalandomi brividi di piacere lungo tutta la schiena. Le sue morbide labbra aderivano perfettamente alla mia pelle mentre la lingua all’interno dava lenti ed incisivi colpetti che acceleravano al massimo le mie pulsazioni sanguigne; Con una mano me lo stringeva mentre con l’altra muoveva le palle per farmi godere sempre più. Stavo per esplodere ma lei se ne accorse: non avrebbe mai sprecato una situazione di quel livello per un solo pompino!

In un baleno si rialzò, le sue mani si dispersero tra i miei capelli: ero suo!

Si stese sul pavimento portando la mia testa fra le sue gambe, la schiena al primo impatto col marmo diede uno scatto a tutto il corpo che spinse la sua umida fica verso le mie labbra che non potevano far altro che accoglierla: il lento movimento della mia lingua percorreva le sue grandi labbra che si bagnavano a vista d’occhio… un giro… due… poi cadde all’interno. La musica era ormai finita e la puntina accarezzava la parte finale del disco emettendo un ripetitivo e fastidioso rumore che però in quelle circostanze sembrava piacevole forse perché anticipava il suo ansimare ritmato e preciso!



La mia testa era prigioniera delle sue mani che la spingevano sempre più vicino, ad un tratto con violenza mi riportò al suo livello, mi baciò profondamente…

“Voglio sentirti dentro di me!”

Riuscì a sussurrare tra un gemito e l’altro mentre afferrandomelo lo introduceva al suo interno:

“Si… fino all’orgasmo...!!!”

Gridò nel momento in cui le sue labbra vaginali si dischiusero lentamente al passaggio del mio cazzo.

Dosavo bene i primi colpi per evitare di farla venire, le sue gambe s’incrociarono dietro la mia schiena stringendo sempre più la presa… eravamo uniti, quasi una cosa sola.

Sentivo scorrere le sue unghie lungo la mia schiena, un lento graffiare, il più dolce che avessi mai provato.

La sua testa pendeva all’indietro,schiudeva gli occhi mostrando una lieve fessurina di colore bianco: stava godendo come non mai… era mia!

La afferrai in un abbraccio rassicurante e la sollevai, curandomi di non far uscire il mio duro cazzo da lei, una mia mano le reggeva le spalle, l’altra le reggeva il sedere: eravamo in piedi, io dentro di lei, e lei quasi come appollaiata sulla mia asta… la tiravo giù e la risollevavo… dentro, fuori… su, giù… un movimento cadenzato, perfetto. La sua lingua cercava la mia bocca… mi riempì di saliva il volto mentre mi stringeva sempre più, stava venendo… la adagiai sul letto cominciai a massaggiarle il seno mentre la baciavo,…

“ti piacciono i miei piedi vero?” disse guardandomi e alzando una gamba… mi avvicinò il piede al viso, mi toccava mi accarezzava… cominciai a baciarlo…

“lo devi leccare!” mi disse, cominciai a insalivarlo ben bene… lo feci entrare nella mia bocca, lei impazziva…

allora aiutandosi con l’altro piede iniziò a scoprirmi l’uccello… una sega fatta con i piedi, ma unica! Stavo per godere… dissi “sto per venire, preparati!”, si fece sborrare sui piedi, le ricoprii piedi del mio liquido… lei con le dita lo raccoglieva e lo portava alla bocca, che gran troia!

Ci rivestimmo, ci sedemmo a studiare, io leggevo e lei ripeteva…

Continuava però ad accarezzarmelo col suo delicato tocco di piede!

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L'americana by merlin

I giorni delle lunghe occupazioni della facoltà sembravano giunti al termine: ormai non si verificavano che scontri sporadici con la polizia e, comunque, si stava avvicinando la stagione degli esami; nonostante le fandonie che i benpensanti dicevano, il 18 “politico” non ce lo dava nessuno!

Giravo per il centro con il mio eskimo blu ed il camice sotto braccio in attesa di rientrare a chirurgia dove mi aspettava un pomeriggio intenso di internato.

Imboccai via Belmeloro, quella che conduceva ai viali che circondano Bologna, verso porta S. Vitale e decisi di fermarmi qualche minuto alla John Hoptkins University, il college davanti a Veterinaria, per un panino ed un bicchierone di latte nella sala studenti.

Non che mi piacessero molto gli americani, specialmente durante quel periodo di guerra in Viet Nam, però lì dentro tutto era abbastanza tranquillo ed io dovevo ricaricarmi un po’ lontano dai miei compagni.

Mentre finivo il mio sandwich seduto al tavolino d’angolo, lei arrivò.

Non l’avevo mai notata prima, nonostante frequentassi quel luogo da qualche settimana: del resto si sa che le americane preferiscono starsene lontane dai “maschi latini”, ben istruite da quegli orrendi e demenziali opuscoli che la loro ambasciata fornisce a chi visita un paese sottosviluppato 8° loro dire) come il nostro.

Arrivò e prese posto proprio di fronte a me: era l’unica sedia libera.

Appoggiò i suoi libri sul tavolino, accanto ai miei e mi lanciò un sorriso distratto, quasi di convenienza.

Anch’io la osservai piuttosto distrattamente, notando soltanto i suoi capelli biondissimi e le lunghe gambe che uscivano da una gonna non troppo corta.

Nella sala il brusio e le risate degli studenti si mescolavano al rumore delle stoviglie del bar ed alla musica del juke-box che proponeva di continuo lo yellow submarine dei Beatles.

Finito il panino, mi alzai quasi di botto: non mi ero accorto che il tempo era passato in fretta e sarei arrivato in ritardo in facoltà.

Distratto com’ero (e come sono) andai ad inciampare sui suoi piedi allungati sotto il tavolo, cadendo quasi su di lei e facendole versare tutta la coccola sul vestito.

- Oh! Mi dispiace molto, dissi arrossendo.

- SHIIIT !!! urlò lei, alzandosi di scatto

Ci guardammo in volto per la prima volta, io turbato per la mia goffaggine e lei arrabbiata; poi scoppiammo entrambi in una sonora risata.

- Non è niente, davvero, mi disse gentile

- Non so proprio come scusarmi, replicai

- Sono cose che capitano, piuttosto aiutami ad asciugare il libri: sono pieni di coccola anche loro

Mi diedi da fare con le salviette del bar, ma lo sforzo non fu ripagato da risultati confortanti.

- Posso fare qualcosa per te? Le chiesi un po’ timidamente

- Certo: aspettami qui cinque minuti; poi mi accompagni a fare un giro per Bologna: è una città che non conosco ancora; ed oggi mi è passata la voglia di studiare.

- Va bene, risposi, decidendo all’istante che quel pomeriggio a chirurgia non mi avrebbe visto nessuno.

- Torno subito allora

Ed uscì dal bar.

Soltanto dieci minuti dopo tornò indossando un abito diverso, di colore rosa chiaro.

- Andiamo? Mi disse

- Andiamo

Ed a piedi ci incamminammo verso via Zamboni e le due torri.

Si chiamava Patrizia ed era figlia di un capitano della M.P. (polizia militare) di stanza a Verona e di una triestina: perciò parlava bene l’italiano.

Era alta quasi come me e decisamente la sua bellezza superava di gran lunga quella di tutte le ragazze (non molte, in verità) che avevo avuto.

Dopo pochi minuti mi prese per mano

- È più bello, più intimo, mi disse

Confesso che mi sentivo un po’ imbarazzato e, nel contempo, molto esaltato di essere assieme ad una bellezza simile.

Girammo per la città tutto il pomeriggio ed io feci sfoggio di tutte le mie conoscenze di arte e di storia, lasciandola “incantata” (diceva lei) per la mia cultura (anche se con gli americani basta davvero poco!).

Ogni tanto ci fermavamo in qualche bettola da studenti e non persi l’occasione di farle provare il piacere di bere i vini italiani, tanto che, verso sera, cantavamo allegri sotto i portici del Pavaglione.

Non so se fu per il vino o per l’impudenza che ogni tanto si impadroniva di me che l’invitai ad una spaghettata a casa mia, vale a dire nella stanza dell’appartamento che Filippo, mio compagno di corso sposatosi di recente, mi aveva affittato.

Lei accettò.

Giunti a casa, mi accorsi che Filippo ed Enrica, sua moglie, non c’erano, per cui avevamo tutto l’appartamento per noi. Ci demmo da fare con gli spaghetti e con il sugo al pomodoro e, dopo cena, ci sdraiammo sul tappeto con una bottiglia di vino rosso ed il mangianastri che andava a tutto volume con la musica dei Rolling Stones.

Patrizia si era accoccolata accanto a me e mi stringeva la mano, mentre io, inebriato dal suo profumo, cominciai ad accarezzarle le lunghe gambe che le gonne lasciavano scoperte quasi del tutto.

Erano gambe perfette, che fremevano alle mie carezze: non mi stancavo di sentirle sotto le mie dita!

Patrizia si girò verso di me e si impadronì delle mie labbra per un lungo, lunghissimo bacio.

Le mie mani, intanto, passavano freneticamente dalle gambe ai seni, che sentivo sodi e senza la difesa del reggiseno.

In pochi minuti fummo entrambi nudi ed avvinti in un bacio che non sembrava aver fine.

Con le labbra mai sazie le percorsi tutto il corpo, dal collo ai lobi delle orecchie, dai seni turgidi all’ombelico, ripetendo più volte quei percorsi inebrianti.

I sui capezzoli si ergevano nelle mie labbra dischiuse ed io non mi stancavo di suggerli avidamente.

Anche le sue mani percorrevano il mio corpo con altrettante frenesia, fino ad arrivare ad impadronirsi del mio membro eretto come non mai: lo accarezzavano, lo stringevano, soppesavano le mie palle rigonfie….

Mi stesi su di lei, con la bocca che ricercava le sue gambe all’altezza delle cosce: ne baciai delicatamente l’interno, dell’una e dell’altra, avvicinandomi lentamente alla sua figa, attratto dal suo umidore e dall’aroma intenso che emanava la sua femminilità.

Le accarezzavo il piccolo e sodo culo con le mani, strappandole fremiti e tremori estasianti: finalmente la mia lingua le sfiorò le grandi labbra della figa aperta, penetrò in esse per assaporare il nettare lievemente acidulo che fluiva. Poi fu tutta la mia bocca ad impadronirsi di lei, mentre con la lingua facevo ergere un delicato clitoride che chiedeva solo di essere posseduto da labbra avide.

Anche il mio cazzo aveva trovato il dolce rifugio della sua bocca altrettanto avida e la lingua, dapprima inesperta, poi sempre più sicura, lo percorreva in tutta la sua lunghezza, lo circondava, lo scopriva all’apice, assaporava i primi segni di un’eruzione che avrebbe tardato.

Non so per quanto tempo durò quello stupendo e sfibrante sessantanove: so che, alla fine, non controllavo più i movimenti della mia bocca, non percepivo più alcun suono attorno a me.

Fu a quel punto che, quasi con un tacito accordo, le nostre bocche abbandonarono i sessi ma i paghi e si unirono in un altro bacio, un lungo bacio di umori mischiati e di passione incontrollata.

Entrai in lei, lentamente, quasi con circospezione: mai il mio cazzo aveva trovato un’abitazione così meravigliosa!

Non ci fu tregua per noi! Le sue lunghe gambe mi avvinghiavano strettamente, mentre entravo ed uscivo da lei con forza sempre maggiore! Scopammo, scopammo e scopammo: forse per decine di minuti, forse per ore; finché, esausti, ci abbandonammo sul tappeto ancora abbracciati.

Fu allora che, sollevato lo sguardo, vidi Filippo ed Enrica in piedi sopra di noi che ci guardavano allibiti e sorridenti.

Non ci eravamo accorti di loro! E non eravamo neppure in grado di ricomporci, tanto eravamo sfiniti.

- Non preoccupatevi: siete belli così, esclamò Enrica.

Li guardammo sorpresi continuando ad esibire ai loro occhi i nostri sessi appagati.

Enrica si chinò: accarezzò lievemente i seni di Patrizia, le sue lunghe gambe, poi prese con entrambe le mani il mio cazzo ed iniziò, con tenere carezze, a rivitalizzarlo.

Io guardai Filippo: sorrideva compiaciuto.

Allora, fingendo noncuranza, accarezzai le tette di Enrica, la quale dimostrò di gradire l’approccio.

Anche Filippo si chinò su di noi e prese a baciare la figa di Patrizia, al quale, in un misto di triestino ed americano, invitò i miei amici ad unirsi a noi in fretta.

Non se lo fecero ripetere e in un attimo furono nudi e si stesero sul tappeto accanto a noi.

Il mio cazzo, intanto, era posseduto dalle fauci voraci di Enrica, la quale non aveva esitato a mettermi in bocca la sua figa; Patrizia, nel frattempo, mi accarezzava le palle, mentre Filippo le leccava il buchetto tra le natiche, dopo aver deposto il suo membro tra le mani dell’americana.

La scena che stavo vivendo mi ricordava molto quella orgiastica durante l’occupazione della facoltà: perciò, eccitato al massimo, entrai prepotente nella figa di Enrica, facendola urlare di piacere per almeno un’ora; le sue urla, assieme a quelle di Patrizia, posseduta da Filippo, erano un vero inno alla vita!

Venni in lei una, due, tre volte nel giro di un’ora.

Alla fine eravamo tutti quattro senza forze distesi sul tappeto, mentre i Rolling Stones non smettevano di cantare.

Enrica poi si alzò e preparò quattro buoni caffè che bevemmo avidamente.

Poi, avvicinatomi a Patrizia, ripresi ad accarezzarla con dolcezza.

Sembrava ancora affamata di sesso, tanto che si avvinghiò a me e prese ad accarezzarmi il cazzo, che, dopo poco, riprese la sua sfrontata erezione.

Enrica, con la figa nella bocca di Filippo, si mise a leccare il buchetto tra i glutei di Patrizia e, dopo averlo ben lubrificato, me lo porse accompagnando con la mano il mio cazzo verso quella nuova direzione.

Senza fretta mi accinsi alla nuova avventura e, un po’ alla volta, penetrai del tutto in quello stretto anfratto: Patrizia dapprima strinse i denti per il dolore, poi, accolto completamente l’inusitato ospite, si scatenò invitando anche Filippo a leccarle il clitoride mentre la inculavo.

Fu una vera e propria sarabanda di sensazioni forti!

Enrica non assistette passiva, ma pensò bene di penetrare nel mio culo con il suo dito affusolato, tanto che scoppiai in un nuovo dirompente effluvio nelle viscere di Patrizia, la quale, leccata ed inculata contemporaneamente, fece sentire le sue urla in tutta Bologna.

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Il Secondo Canale by Anonimo

Questo racconto è in realtà una storia vera e vi spiega il mio primo rapporto
anale con le donne.

Mi chiamo Riccardo e sono un ragazzo della provincia di Rieti.
Nel mio appartamento, che all'epoca dividevo con i miei genitori veniva
due volte la settimana una donna delle pulizie, che si prendeva cura della
casa.
In verità io era innamorata della sua figliola, mia coetanea e quindi all'epoca diciannovenne.
Piu' volte le avevo chiesto se portava alla figlia i miei saluti, avevo espresso ammirazione
per la sua figliola, ma mai mi sarei aspettato quello che stava per accadere.
Infatti questa bella quarantenne, una mattina in cui i miei genitori erano fuori, dopo una mia
insistenza per mettere una sua buona parola con la figlia, mi chiese se per caso mi
sarebbe piaciuto provare prima l'albero che aveva generato la sua figliola.
Certamente non me lo sono fatto ripetere due volte e piano piano ho dapprima infilato
la mia lingua nella sua bocca e successivamente ho cominciato a spogliarla facendolo
il piu' in fretta possibile.
Mentre tentavo di togliergli la gonna, mi disse che aveva le mestruazioni e quindi la porta davanti
era fuori uso.
Ma dall'aria maliziosa avevo capito che aveva una soluzione in serbo.
Infatti, mi disse sorridendomi di ricordarmi che le donne hanno due entrate e che sarebbe stata
ben lieta di accogliermi in quella posteriore.
Il mio uccello ebbe una rapida impennata, e una volta appoggiata Carla, questo è il suo nome,
alla poltrona del soggiorno, la feci girare per prepararmi il terreno.
Incominciai a leccargli il buchino e intanto anche un pò goffamente tentava di fargli un bel ditalino, tra
l'altro raccogliendo anche un bel po' del suo sugo.
Lei era al settimo cielo e me lo dimostrava con delle parole del tutto senza senso.
Il sapore del suo buchino era un po' forte, penso infatti che quella mattina non si era lavata da quelle
parti.
Comunque imponendovi di non venire subito, dopo buoni dieci minuti di leccamento, mentre lei ancora
si scioglieva nel suo brodo di giuggiole, ho appoggiato la cappella al garofanino ed ho spinto con
decisione.
Per me era la prima volta che avevo un rapporto anale, ma per lei sicuramente no, dal momento
che il mio bastone le era entrato per tutti e diciotto i centimetri e che lei godeva come una vera vacca.
Dopo averle provocato due bellissimi orgasmi (a suo dire) le ho sborrato copiosamente nell'intestino
facendola urlare di piacere.
Una volta tirato fuori il mio cazzo dal suo posteriore, l'ho dapprima ripulito di materia un po' impropria,
ma debbo dire che non mi ' dispiaciuto affatto e non mi ha dato un senso di sporco, anzi mi ha
anche eccitato maggiormente.
Ho finito per vedere il suo culo ancora aperto che gocciolava della mia sborra, ed andava sul pavimento
vicino al fuoco.
Non ho avuto più bisogno di pensare alla figlia, e sicuramente non me ne sono pentito.
Altre storie,l anche con Carla ve le manderò quanto prima.

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La prima volta di Giulia in aereo by Fargo

Alle 7,40 del 3 marzo 1999 la “Jaguar E” grigio titanio con i coniugi Valenti a bordo, viaggiava verso l’aeroporto intercontinentale della Malpensa. Al volante Giorgio, 52enne affermato cardiochirurgo, guardò infastidito Giulia, sua moglie, che si accendeva una sigaretta. Giorgio odiava il fumo che riteneva un vizio malsano e fastidioso, ma non ne aveva mai fatto un motivo di scontro con lei.

Quattro anni erano passati dal giorno in cui Giulia, 32enne ex-hostess dell’Alitalia, lo aveva sposato. Dopo otto anni di volo vissuti spensieratamente, aveva preso la sofferta decisione di lasciare per sempre il suo lavoro. Il passaggio nell’alta società, la prospettiva di una vita certamente agiata e il fascino di cui indiscutibilmente Giorgio era dotato, furono i motivi per cui abbandonò il volo per sempre. Fu un matrimonio “concertato”, basato su due punti fondamentali: nessuna interferenza nella vita privata dell’altro, nessuna limitazione della propria libertà individuale. Lui, già abbastanza avanti negli anni, non avrebbe mai potuto pretendere di tenere vicino a sé una donna bellissima e piena di ammiratori, quale lei era, senza lasciarle tutta la libertà che desiderava.

Giorgio tossì stizzosamente più volte. Cercò di minimizzare il fastidio del fumo aprendo il finestrino e mettendo al massimo l’aria condizionata. Giulia lo guardò con noncuranza. Aveva imparato a sopportare la sua dichiarata insofferenza al fumo e a tutte le sue manovre per evitarlo.

“Giorgio, a che ora parte l’aereo?”

“Alle 10.25. C’è tutto il tempo per fare acquisti al Duty Free.”

“Speriamo di partire in orario. Detesto rimanere ingabbiata in aereo”.

“Anch’io, ma non ti fare illusioni. La realtà della Malpensa non cambierà certo oggi”..

“Dai, non essere pessimista…”

***

Alle 7.40 di quello stesso giorno, la “Megane Coach” di Stefano, 34 anni, entrava nel parcheggio dell’aeroporto di Fiumicino. Alla radio, la voce di Cher che cantava “I believe”, la canzone dello spot di Tim Ricaricabile, gli riportò alla mente il seno procace della modella protagonista. Quando arrivò davanti al gate di uscita del volo AZ 1040 per Milano Malpensa erano le 7.55. Il decollo era previsto per le 8.00. Fu solo grazie ad un ritardo nelle operazioni di imbarco passeggeri e al conseguente ritardo del volo che le impiegate dello scalo lo accettarono all’ultimo minuto. Entrò nell’MD 80 dell’Alitalia tutto sudato.



***

Nel negozio duty-free della Malpensa Giulia ebbe solo una lieve indecisione su quale foulard, Ferragamo o Hermés, comperare. Scelse il primo perché il disegno - tre tigri che si nascondevano nel fitto intreccio di una giungla – era più intrigante delle linee geometriche, seppur splendide, del secondo. Comprò, dopo una lunga scelta, un costoso orologio di Gucci.

Fare acquisti, spesso anche inutili, voleva dire per lei regalarsi un momento di felicità e vincere la noia di una vita che, muovendosi sui binari di una comoda realtà, aveva molto poco da regalarle. Per questo trovava sempre inebriante spendere soldi. Ma a volte si domandava se non si sarebbe sentita più appagata nel vivere con qualche piccolo problema economico.

Giorgio prese alcune bottiglie di Remy Martin e di Porto da regalare agli amici; attese quindi pazientemente la moglie nel corridoio che conduceva alle sale di imbarco.

Effettuati gli acquisti si accomodarono nella sala d’aspetto riservata ai passeggeri di Top Class. Giulia si accese un’altra sigaretta.



***

Alle ore 9.45 tutti i passeggeri di Top Class del volo AZ 796 per Singapore-Sydney erano in sala Vip. Stefano osservò a lungo quella donna affascinante. Notò il profilo perfetto del naso, le labbra carnose e sensuali, gli zigomi alti, le gambe lunghe e diritte, le cosce tornite. Gli piacquero i suoi capelli biondi, raccolti intorno alla nuca e quell’aria da diva che gli occhiali neri di Versace le donavano; apprezzò i capi del suo abbigliamento: soprabito nero stretto in vita, tailleur rosso con gonna corta, maglioncino aderente, giacchetto nero aperto.

Capì presto che quell’uomo dalla corporatura massiccia, vestito di un completo di lana fredda blu, con pochi capelli brizzolati, occhiali da vista legati alla catenella e quell’aria seriosa da commendatore era il suo accompagnatore. «Peccato» sospirò. Sentenziò, con una punta di invidia, che era il classico uomo che le donne reputano interessante solo perché è pieno di soldi.

Ritornò a scrutare Giulia per avere una conferma alla prima impressione e stavolta si convinse in modo definitivo della sua bellezza.

Con l’occhio e la fantasia da fotografo di moda, se la immaginò su una spiaggia tropicale, coperta solo da un pareo trasparente, in posa davanti al suo obiettivo.

L’hostess annunciò il pre-imbarco dei passeggeri di Top Class per il volo AZ 796. Contrariamente alle pessimistiche previsioni dei coniugi Valenti, la partenza del volo era stimata in orario.

Giulia si alzò in piedi andando verso l’impiegata del check-in non accorgendosi di aver lasciato a terra uno dei sacchetti del duty-free. Stefano lo raccolse e lo consegnò a lei dopo averla richiamata. Giulia, sorpresa della dimenticanza, lo ringraziò con un accenno di sorriso.

In sette, fra cui quattro giapponesi, salirono sul minibus che li portò sotto il 747 dell’Alitalia.



***





Nell’upper deck Giulia e Giorgio, delle dodici poltrone totali, occuparono le due della seconda fila a destra. Stefano sedette sulla poltrona di corridoio della terza ed ultima fila di sinistra, i quattro giapponesi sulle due prime file.

Gli assistenti di volo che prestavano servizio in Top Class erano una giovane hostess, che Giulia guardò con un po’ di rimpianto, e uno steward più anziano. La ragazza non perdeva mai l’occasione di dimostrarsi gentile e disponibile. “L’avranno bombardata di corsi di “assertività” e “customer satisfaction” riflettè fra sé ripensando ai suoi trascorsi in Alitalia.

Giulia, che era rimasta colpita dall’aria scanzonata di Stefano, indugiò volutamente nel togliersi il soprabito e nel sistemare le sue cose prima di sedersi, per potergli lanciare qualche occhiata furtiva.

Lui, si era tolto la giacca e l’aveva riposta sul coperchio del vano portaoggetti alla sua sinistra. Dopo essersi arrotolato con cura le maniche della camicia, aveva iniziato a sfogliare uno dei quotidiani a sua disposizione. A Giulia piacquero la peluria scura delle sue braccia, i suoi capelli neri pettinati all’indietro, il segno della barba scura al punto di dare l’impressione di non essere mai ben rasata, la fossetta che aveva sul mento. Ma ancor di più le piacquero le sue spalle grandi e le braccia muscolose. “Però…!” constatò sorpresa. Si sedette malvolentieri.

Nell’accomodarsi in poltrona, la gonna corta le salì, lasciando scoperta un’abbondante porzione di gambe. Lei non fece nulla per ricomporsi. Stefano, mentre riponeva la borsa a mano nella cappelliera, ebbe modo di accorgersi che indossava calze autoreggenti. La cosa eccitò la sua fantasia. Era una disattenzione o una provocazione? Le calze autoreggenti dimostravano che era una donna maliziosa. Fedele al suo motto «pensa al peggio e indovini» optò per la seconda ipotesi. Così ogni tanto le lanciava un’occhiata per studiarne i comportamenti e finì inevitabilmente per incrociarne lo sguardo. I due si fissarono per un lungo istante.



***

Il Jumbo mosse dalla piazzola di parcheggio alle 10.40, con soli 15 minuti di ritardo sull’orario di partenza, causa il protrarsi delle operazioni di imbarco dei bagagli dei passeggeri. L’aereo in Business Class e Turistica era pieno fino all’ultimo posto.

Dopo la dimostrazione delle uscite di emergenza e del giubbotto di salvataggio, il comandante intimò agli assistenti di volo di prepararsi per il decollo. I quattro possenti motori ruggirono, cominciando pian piano a liberare tutta la loro potenza. L’aereo sulle prime sembrò rispondere con lentezza alle sollecitazioni dei piloti, ma poi avanzò deciso sulla pista aumentando la sua velocità fino a spiccare il volo.

Stefano si sentiva ora molto più tranquillo: provava sempre un po’ di disagio durante la fase di decollo.

Giulia non aveva questi timori, ma era ugualmente agitata. Le era sempre piaciuto irretire gli uomini, attrarli con la sua bellezza per vederli poi cadere nella rete di provocazioni e seduzione che lei metteva in atto. Erano stati sempre loro a fare il primo passo. Stavolta no: era lei che voleva farsi avanti per prima. Non si preoccupava minimamente del come avrebbe fatto per conquistarlo perché un modo c’è sempre e nessuno del resto aveva mai resistito al suo fascino.

Questo pensiero però la teneva mentalmente impegnata e le trasmetteva irrequietezza. Per di più non poteva nemmeno rilassarsi con una sigaretta perché, su precisa richiesta di Giorgio, si trovava in zona non-fumatori. Provò un senso di sollievo pensando che lo avrebbe fatto più tardi, sedendo su una delle due poltrone dietro di lei dove era consentito fumare.



***

Il Jumbo dopo una ventina di minuti raggiunse il suo livello di crociera, intorno ai 33.000 piedi. Gli assistenti di volo dettero il via alle operazioni necessarie per servire gli aperitivi e il pasto principale su tutto l’aereo. Furono accesi i forni per scaldare il pasto e nel galley di Top Class questi generarono un sibilo fastidioso.

Il carrello degli aperitivi fu allestito e presentato ai passeggeri con tutti i prodotti vinicoli italiani più prestigiosi, dal Brunello di Montalcino allo spumante Ferrari. Giulia prese un bicchiere di Berlucchi. Era fresco al punto giusto e fece subito il bis. Una piacevole sensazione di stordimento l’assalì dopo poco, facendola lievitare verso l’alto come se non avesse più peso. L’alcol la rendeva effervescente. Al terzo bicchiere una meravigliosa sensazione s’impadronì di lei. La sua mente cominciò a viaggiare fuori dal corpo trasmettendole una forte eccitazione, il suo corpo invece a reclamare emozioni violente. Immaginò, in un sogno ad occhi aperti, di prendere in bocca il pene dritto di Stefano, di leccarlo e succhiarlo, di fare l’amore con lui, all’ombra di una palma, su qualche spiaggia assolata dei tropici e di godere orgasmi travolgenti.

Si accorse di aver fatto questi pensieri audaci per la prima volta dopo il matrimonio, ma poco le importò. Quando capì di essere bagnata, si convinse che lui era la cosa che in quel momento voleva di più al mondo. Si girò istintivamente a guardarlo. Stefano intercettò nuovamente il suo sguardo, accennando un lieve sorriso, e non ebbe più dubbi sul fatto che lei volesse sedurlo.

Giulia non toccò cibo durante il pranzo. Prese soltanto il caffè finale e il tartufo di cioccolato che l’hostess le offrì.

***

Erano trascorse circa tre ore di volo e stavano sorvolando la Turchia. Dopo aver comperato una stecca di Marlboro dal duty free di bordo, Giulia guardò la locandina dei film programmati “The Matrix” e “Le parole che non ti ho detto”. The Matrix era quello che la interessava di più perché Keanu Reeves era un attore che fisicamente le piaceva molto.

Si alzò dalla poltrona. Quando fu in piedi, abbassò la gonna verso il ginocchio, toccandosi maliziosamente le cosce. Spostando il peso del corpo su un fianco mostrò il suo sedere sodo a Stefano. Entrò quindi in toilette. Si aggiustò i capelli, ripassò il rossetto e mise un po’ di profumo sul collo.

Ad un tratto, con la velocità del lampo, un’idea le attraversò la mente. Alzò la gonna sui fianchi e sfilò le mutandine nere; le annusò: profumavano della sua intimità. Le nascose nella manica destra del maglioncino ed uscì dal bagno, più bella e desiderabile che mai, suscitando l’ammirazione composta dei passeggeri giapponesi della prima fila. Rimase in piedi nei pressi della sua poltrona. Giorgio alzò lo sguardo dalle sue riviste per lanciarle solo una rapida occhiata, prima di rimettersi a leggere l’articolo che lo interessava.

Giulia notò che Stefano stava fumando una sigaretta sulla poltrona vicina al finestrino, mentre osservava il panorama che scorreva sotto i suoi occhi.



***

Gli assistenti di volo iniziarono ad abbassare le tapparelle dei finestrini, oscurando l’ambiente così che fosse possibile vedere i film annunciati. Spensero quindi le luci del galley e del soffitto: l’oscurità a quel punto fu quasi totale. Dopo aver azionato il proiettore abbandonarono la Top Class per andare a prestare servizio nelle classi sottostanti.

Giulia camminò ancora per qualche istante su e giù per il corridoio. Giunta all’altezza di Stefano, lasciò cadere le mutandine sulla poltrona vuota. Sedette quindi su quella di fianco, dall’altro lato del corridoio, facendo sì che la gonna corta lasciasse generosamente scoperte le sue gambe. Poi si mise a fumare.

Quando vide Giulia seduta alla sua altezza, fu ben felice di accorciare la distanza che lo separava da lei riprendendo il suo posto originario.



***

Il film non riuscì ad attirare l’attenzione di Stefano. Le immagini continuavano a scorrergli davanti agli occhi senza che riuscissero ad avere un senso per lui. Lei era lì vicina, bellissima e disponibile e lui non riusciva a concentrarsi. Si alzò per andare in bagno. Vide che Giorgio dormiva e ne sentiva anche il lieve russare. I quattro giapponesi, strapazzati dal fuso europeo, con le mascherine sugli occhi dormivano pesantemente. Gli assistenti di volo almeno per un po’ non si sarebbero fatti vivi e la situazione ora era più che favorevole per realizzare il sogno che la sua fantasia da tempo aveva architettato. Occorreva soltanto trovare un futile pretesto per agganciare lei.

Ritornò al suo posto. Cercò a tastoni le due parti della cintura di sicurezza dietro alla sua schiena, ma si ritrovò le mutandine in mano. Ancora abbagliato dalla luce della toilette, le osservò con stupore, stentando a credere ai propri occhi. Volse istintivamente lo sguardo verso Giulia che con astuzia fingeva di guardare altrove. Di chi altri potevano essere se non sue? Dopo averle messe in tasca, sporgendosi nel corridoio, avvicinò la testa a quella di lei dicendo sottovoce: “Vieni vicina a me”.

Lei lo assecondò senza esitazione andando ad occupare la poltrona lato finestrino. Si unirono in un bacio appassionato e stordente. Poi, guardandosi negli occhi, parlarono tra loro a voce bassa.

“Sei stupenda” disse Stefano.

“Così dice più di qualcuno.”

“Non avrei mai creduto che potesse avvenire una cosa simile.”

“Neanche io”.

“Mi chiamo Stefano e tu?”

“Giulia.”

“Giulia, sei la donna più bella che abbia mai visto.”

“Addirittura”. Hai visto poche donne allora.”

“Al contrario. Per il lavoro che faccio, ne ho conosciute tante e tutte bellissime. Ma nessuna è bella come te”.

“Che lavoro fai?”

“Sono fotografo di moda”.

“Vuoi dire che fotografi donne nude?”

“Anche”.

“Beh allora potresti fotografare anche me”.

“L’ ho pensato fin da quando ti ho visto”.

“E dove lo facciamo questo servizio fotografico?

“Sulla spiaggia di Malindi, in Kenia ti andrebbe bene?”

“Quando andiamo?”

“Quando vuoi tu”.

“Subito. Ho tanta voglia di stare sola con te”.

“Anch’io”.

“Toccami, Stefano”.

Stefano dopo aver tolto il poggiamano che univa le due poltrone, la tirò verso di sé. Mise le mani sul suo seno caldo, morbido e tanto desiderato e sulle natiche che palpeggiò a lungo. La baciò nuovamente in un crescendo di passione. Le succhiò delicatamente il collo, mordendole di tanto in tanto i lobi delle orecchie. Giulia provò un’incredibile sensazione di piacere. Abbassò la zip dei calzoni e prese in mano, come un trofeo, il pene gonfio e duro di Stefano. Scivolò sulla poltrona portandosi all’altezza del suo pube e cominciò a succhiarlo, inebetita dall’ondata di piacere che, come una montagna, la stava schiacciando. Di tanto in tanto si soffermava con la punta della lingua sul buchino del glande. Stefano, sempre più eccitato, le mise una mano fra le cosce cercando la vulva bagnata. Le infilò un dito nella vagina; poi risalì verso la clitoride, facendo sussultare Giulia. La masturbò strappandole gridolini di piacere.

Stefano dopo lo stordimento iniziale, stava con tutti i sensi allertati. Nel caso fossero stati scoperti, la situazione sarebbe potuta divenire incresciosa e dal paradiso sarebbe precipitato direttamente all’inferno.

Giulia, con la schiena contro l’oblò, nella posizione più adatta per essere masturbata, era completamente assorbita dal suo piacere ed assolutamente incosciente di quanto accadeva intorno. Aspettava solo che le mani di Stefano terminassero il lavoro iniziato per arrivare all’orgasmo. Stefano godeva nel sentire le reazioni del corpo di Giulia al movimento delle sue mani. Con la mano sinistra le toccava i seni, le labbra carnose, il monte di Venere senza mai arrestare, neppure per un attimo, l’azione della mano destra.

D’un tratto però un rumore di passi lo fece trasalire. Qualcuno stava salendo dalla scala a chiocciola che portava in upper deck. Cercò di allontanarla da sé, ma lei come in trance, non voleva saperne. Con entrambe le mani afferrò quella di Stefano per impedire che si staccasse da lei.

Stefano fu colto dal panico quando vide lo steward spuntare dagli ultimi gradini delle scale. Vincendo la resistenza di Giulia, riuscì ad afferrare la coperta che si trovava sul ripiano del vano portaoggetti e a coprire lei che, con la gonna completamente alzata in vita, mostrava tutta la sua nudità. Rimasero così immobili sperando che l’oscurità li celasse agli occhi e all’attenzione dello steward. Questi attraversò tutto il corridoio ed entrò nel galley senza dare l’impressione di aver notato nulla. Poi, così come era venuto, se ne andò. Stefano rimase incerto sul da farsi per qualche istante, ma l’arrivo dell’assistente di volo fu come una doccia gelata.

“Siamo in una stanza dalle pareti di vetro dove tutti possono vederci. Non possiamo continuare.”

“Perché no?”

“È troppo pericoloso. Dove sei diretta?”

“A Sydney. E tu?”

“A Singapore”

“Quando ritornerai a casa?”

“Il 31 marzo”

“Peccato”

“Già, peccato”

“Ma il volo è ancora lungo”.

“Sì lo so però…”

“Però?”

“Ma non capisci le difficoltà che ci sono? Se tuo marito si sveglia o se qualcuno dell’equipaggio se ne accorge…”

“Beh, pazienza mio marito…ma dell’equipaggio non me ne importa nulla.



***

Giulia, arrivata sull’orlo dell’orgasmo, aveva rinunciato malvolentieri a quel piacere annunciato. Il suo sesso fortemente eccitato reclamava soddisfazione. Sentiva la clitoride gonfia e pulsante e un senso di profonda privazione tormentarla.

Lo stordimento comunque con lo scorrere dei minuti passò. La pressione scese a livelli più tollerabili e la ragionevolezza ritornò nella sua mente, convincendola che la situazione, se non proprio pericolosa, poteva risultare scabrosa. Si ricompose in toilette. Andò poi al carrello delle bevande, lasciato nello spazio antistante la prima fila di poltrone, e prese un altro bicchiere di Berlucchi; ritornò quindi al suo posto per fumare.

Cinque ore di volo erano trascorse e stavano finendo di sorvolare l’Iran. Erano ormai a ridosso del Pakistan.

Giorgio si risvegliò. Giulia da dietro lo osservò mentre richiamava lo schienale in posizione verticale. Vide suo marito passarsi le mani su entrambi i lati della testa come per ricomporre la capigliatura di una volta e il suo sguardo sorpreso nel vedere vuota la poltrona accanto. Quando girandosi la scorse dietro di sé, lei gli sorrise. Giorgio rispose sorridendo, poi mise la cuffia sulle orecchie per guardare il film che aveva superato metà della sua durata.



***

Giulia e Stefano, ormai complici, si guardarono più volte con gli occhi carichi di desiderio. Giulia consultava sempre più nervosamente l’orologio. Le sembrava che il tempo scorresse veloce e tiranno, rubandole quella gioia che voleva avere per sé. In realtà erano arrivati soltanto a metà del viaggio quando le coste dell’India si affacciarono all’orizzonte. Il pene di Stefano era sempre lì, non molto lontano, dritto e soffocato dagli slip, senza che lei potesse fare nulla.

L’hostess ritornò in Top Class. Sostituì la pizza e inserì quella del film di Kevin Kostner, cercando di fare meno rumore possibile, poi si allontanò nuovamente.

Giorgio era ben intenzionato a guardare il film, i cui titoli di testa stavano scorrendo sullo schermo. Pensarono allora che l’ultimo ostacolo era anche il più imponente da superare e si convinsero entrambi con grande rammarico che non c’era più niente da fare. Finito il film ci sarebbe stato un altro pasto, tutte le luci si sarebbero riaccese e i loro sogni definitivamente sepolti.

Ironia della sorte, fuori stava facendo buio. La notte precoce dell’oriente veniva loro incontro, rendendo assoluta l’oscurità nella cabina.



***

Volavano da più di sette ore ed erano ormai al centro dell’Oceano Indiano. I quattro giapponesi ancora dormivano imperturbabili. Il secondo film stava volgendo al termine e Giorgio continuava a seguirne con attenzione le vicende. Mancava poco al servizio del pasto secondario. Stefano con tutta la fantasia di cui era in possesso, percorse mentalmente tutto il Jumbo nel tentativo di trovare un posto giusto per loro, ma per quanti sforzi di fantasia facesse, nessuno era adatto allo scopo tranne il galley che era dietro di lui.

Avevano ormai rinunciato a sperare, quando l’interfono di bordo gracchiò. Era il comandante che con voce preoccupata chiedeva l’intervento di un medico perché un passeggero di turistica aveva accusato un malore. Giorgio all’annuncio si alzò dalla sua poltrona e scese veloce dalla scala a chiocciola della Top Class.

Il dottore si presentò al primo assistente di volo che incontrò e questi lo condusse al centro dell’aereo in classe turistica, facendosi largo tra il gruppo di passeggeri formatosi intorno ad un anziano signore dal colore paonazzo che urlava dal dolore.

***

“Se saprai riempire il minuto che non perdona

coprendo una distanza che valga i sessanta secondi,

tuo sarà il mondo e tutto ciò che contiene…”



Questo passo del “Se” di Kipling illuminò la mente di Stefano. Guardò Giulia e decise di riempire il suo minuto realizzando una follia irripetibile. La prese per una mano e la condusse nel galley che si trovava dietro di essi. Lucido e determinato abbassò lo strapuntino a due posti, che si trovava all’interno dell’ambiente non molto spazioso, e la aiutò ad adagiarvisi sopra in posizione supina. Un’eccitazione più forte colpì allora Giulia come un colpo di frusta. Lei tirò su la gonna stretta e mise a nudo il suo sesso umido e fremente; era un esplicito invito a Stefano perché vi affondasse la bocca strappandole tutto il piacere possibile. Lui accostò con decisione le labbra alla vulva. La leccò avidamente, la succhiò ed infine si insinuò dentro la sua fessura, spingendo la lingua quanto più poteva nel profondo. Poi stimolò la clitoride, impregnando il suo viso degli umori sprigionati dal sesso completamente aperto. Presa dalla bramosia, Giulia alzò il maglioncino e offrì i suoi seni alla vista e al tatto di Stefano. Lui palpò le mammelle morbide regalandosi un piacere tutto particolare con lo strizzarle i capezzoli. Come ultimo atto finale, si dedicò all’eccitazione della clitoride con tutte le dita della mano destra.

Giulia gli accarezzò con dolcezza e gratitudine il viso ed i capelli, scesi verso di lei, quando si accorse di essere posseduta da un piacere invadente. In quel momento così particolare le ritornò in mente il verso di Neruda



“…e perché nessuno mi conobbe come una, una sola delle tue mani”.



Lei si irrigidiva o si rilassava a seconda delle ondate di piacere che andavano e venivano con un’intensità a volte fastidiosa. Avrebbe voluto sottrarsi a quelle mani infaticabili per trovare un po’ di sollievo, ma né voleva, né poteva farlo. Cadde così, sconvolta ed estasiata, in una spirale di progressivo annebbiamento senza più opporre resistenza. Quando l’orgasmo arrivò, si dimenò come la coda spezzata di una lucertola.

Passò qualche istante e Stefano aiutò la sua amante a rialzarsi. Dopo averla sollevata per la vita, la fece sedere sul piano di lavoro del galley. Per agevolarne la posizione scomoda, pose sotto i piedi di Giulia due cassonetti - i contenitori di plastica dei galley - avendo cura che le sue gambe fossero ben divaricate. Si aprì i pantaloni liberando dagli slip il pene, che non più soffocato, si drizzò verso l’alto per la piena erezione. Lo introdusse nel sesso umido di Giulia con un deciso movimento del bacino e con il glande apprezzò, dopo tanta attesa, il dolce calore della vagina. Pensò in quell’attimo al poeta turco Hikmet e ai suoi versi…



“…entro nei tuoi occhi come in un bosco

pieno di sole

e sudato affamato infuriato

ho la passione del cacciatore

per mordere nella tua carne.”



Cominciò a sbatterla con impeto. La baciò cercando ancora la sua lingua, le palpò stavolta con entrambe le mani i seni e la prese saldamente per i fianchi, quando vollero dar sfogo ai loro sensi, aumentando progressivamente la frequenza dei suoi colpi.

Il respiro di Giulia divenne affannoso allorché l’orgasmo arrivò con la forza di una valanga. Dalla vagina il piacere si diramò per tutto il corpo, correndole nelle vene con l’intensità di una scarica elettrica. Conficcò le unghie aguzze nella schiena di Stefano, procurandogli dolore, mentre il movimento convulso del suo corpo andava man mano spegnendosi. Stefano raggiunse l’orgasmo sulla sua scia e le esplose dentro con abbondanti getti di sperma, facendo fatica a sostenersi sulle gambe. Rimasero avvinghiati l’un l’altro, senza parlare, per qualche breve istante. Si guardarono negli occhi soddisfatti ed increduli si scambiarono un ultimo bacio.

Dopo essersi ricomposti come meglio furono in grado di fare, ritornarono affaticati e confusi in cabina passeggeri. Giulia andò direttamente in toilette.

***

Più tardi qualcuno risalì le scale. Era Giorgio. Portò rassicuranti notizie. Il passeggero, che aveva avuto un infarto, stava discretamente bene. Dopo il suo intervento aveva ripreso conoscenza e tutto, a meno di spiacevoli imprevisti, poteva considerarsi concluso per il meglio. Nel General Hospital di Nassim Hill, a Singapore, era stato predisposto il necessario per il suo ricovero.

Giulia baciò suo marito, fiera di lui e della sua capacità professionale. La magia, che l’uomo di medicina sprigiona nei momenti cruciali, esercitava sempre un forte fascino su di lei.



***

Quando gli assistenti di volo, dopo lo spuntino serale, riposero tutto il materiale d’uso, compresi i due cassonetti trovati (stranamente per l’hostess, ma non per lo steward) fuori posto, l’aereo stava sorvolando l’isola di Sumatra e mancava ormai meno di un’ora all’atterraggio.

Giulia estrasse il Corriere della Sera dalla tasca della poltrona di fronte a lei, vi annotò il numero del suo cellulare e lo fece scivolare a terra dietro di sé. Stefano, prima dell’atterraggio, lo recuperò ricopiando nel suo taccuino il numero telefonico.

Lei si voltò a guardarlo e con le labbra mimò un bacio. Stefano le rispose con un analogo movimento.

Mentre atterravano sulla pista di Changi, il modernissimo aeroporto di Singapore, pensò che forse quell’avventura poteva avere un seguito. La luce fioca del giorno nascente lasciava intravedere le sagome di centinaia di navi che, come in un raduno festoso, affollavano l'acqua appena increspata di Serangoon Harbour. Strinse nella tasca dei pantaloni con la mano destra le mutandine umide di Giulia e sospirando disse fra sé Majulah Singapura (prosperità per Singapore).



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La Mamma di Lolla by Anonimo

Questo racconto è una storia realmente accaduta nell'estate del 1999.
Io e Lolla, ci eravamo lasciati per via del padre, noto imprenditore romano, classico con la puzza sotto al naso, che per le sue figlie voleva ragazzi con il conto in banca minimo di 12 o 13 zeri.
In effetti, per via di questo suo comportamento, e assillando le sue figlie quotidianamente, l'unico risultato che aveva ottenuto era la separazione della sua figlia maggiore e la fine del rapporto tra me e Lolla, la sua figlia minore.
Io e Lolla, stavamo insieme da quasi 3 anni, e tutto andava a gonfie vele.
Ero stato io che l'avevo sverginata, io che gli avevo insegnato a fare il suo primo pompino, io che gli avevo regalato il suo primo orgasmo, io che la avevo sodomizzata.
Ma come era accaduto con la sorella maggiore, i suggerimenti, ma direi ordini del padre, non potevano essere messi in discussione, e fu cosi' che con le lacrime agli occhi Lolla mi disse che ci dovevamo lasciare.
Naturalmente ci restammo male entrambi, ma ci ripromettemmo di rimanere buoni amici.
Cose che durano pochissimo, infatti dopo solo 3 settimane non ci sentivamo neanche piu' per telefono.
Mi sorprese un poco la telefonata della mamma di Lolla, circa 2 mesi dopo che ci eravamo lasciati.
Mi invitò a casa sua con la scusa di parlarmi di sua figlia.
Arrivai puntualissimo all'appuntamento, ma l'argomento trattato, non era proprio quello del protocollo.
Cominciò parlandomi del marito che opprimeva tutte e 3 le donne di quella casa, che spesso e volentieri se ne andava via anche per settimane intere con la sua amante senza che lei potesse replicare alcunchè.
Dicendo ciò, si faceva sempre piu' vicina e quando mi disse che ancora si sentiva una donna, io avevo già un'erezione che sembrava un obelisco.
Misi la mia mano sulla sua coscia, e una volta appurato che cilò non le dispiaceva, cominciai ad avvicinarmi alla sua topa che sentii già invasa di ciprigno.
Cominciai il piu' dolce dei ditalini e dai mugolii di piacere che emetteva, pensavo che stessi andando molto bene.
Mi incitava a continuare dicendomi altresi' che non lo faceva da circa 6 mesi, che il marito quando ne aveva voglia, dava due colpetti da coniglio, gli sborrava in pancia e poi subito a dormire, senza neanche preoccuparsi se lei avesse goduto oppure meno.
Dopo pochi minuti, tolta la mano comincia a leccarle la topa e le secrezioni erano talmente abbondanti che sembrava che stesse pisciando.
Una volta raggiunto l'orgasmo, volle contraccambiare il favore e mi prese in bocca l'uccello.
Una volta diventato duro come il marmo, la feci stendere sul letto e la feci mia, facendola urlare di non smettere, che sarei stato il bastone della sua vecchiaia e cose di questo genere.
In raltà non era neanche male in quanto i suoi 44 anni se li portava anche abbastanza bene.
Comunque poco prima di sborrare, tolsi l'uccello dalla sua pancia e lo appoggiai nella sua faccia, la quale ricevette copiosi fiotti di latte caldo.
Non fece l'ingoio perchè disse che non lo aveva mai fatto, ma bensi' si dedicò alla cura del suo giocattolo preferito, che in un battibaleno fece tornare di nuovo in tiro.
Quello che successe dopo, ve lo racconto nella prossima storia.

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Cosa farai da grande? by admin

Esterina aveva la faccia un poco butterata e anche perlata da tanti brufoli incipienti, acerbi e maturi. Ogni volta che pensava a loro, si portava d’appresso una fiacca che non l’abbandonava mai; ormai quella faccia le apparteneva come il guscio all’uovo o l’azzurro al cielo. Guardandosi allo specchio aveva provato disgusto: passava lentamente le dita su quei piccoli fossi, palpeggiando ogni cratere con il risentimento d’essere l’unica colpevole del suo imbruttimento. Temeva inconsciamente per il suo futuro di bellissima ragazza. Ma con libidine irrefrenabile, di nuovo di fronte ad un brufolo, ogni volta si scordava di quell’effigie dissestata simile alla superficie d'una palla di golf. Qualche secondo ancora e avrebbe aggiunto un altro piccolo fosso a quel volto già frastagliato. In un momento di intensa concentrazione dimenticava l’orrore di quelle piccole voragini che sotto i suoi occhi attenti aspettavano soltanto di eruttare il contenuto della piccola ampolla giallastra in rilievo sulla pelle gonfia e sollevata. Allora, in balia d'una pulsione forte e irrefrenabile, agganciava ai polpastrelli lo spazio canescente intorno all’unico punto giallastro ancora soverchiato da un sottilissimo lembo di pelle intatta e sotto la luce, molto vicina allo specchio sceglieva la mira. Prima di schiacciare, Esterina s'alzò sulla punta dei piedi. Così, e con la puntina fra le dita, aggiustò la mira. Eliminò ogni possibile ombra per non accecare nulla, né l’attimo dello scoppio, né il più piccolo spruzzo. La memoria d’una brevissima ma intensa euforia distruttiva, l'appagava. Bramava quell’emozione uguale e irrinunciabile e s’annichiliva nel ricordo di un brivido forte al quale s’abbandonava completamente, come se morisse solo per un brevissimo momento, un attimo prima dell’esplosione cutanea. Strinse il follicolo gonfio come l'addome d’un piccolo insetto, sollevando e spremendo la pelle con forza. Sentì il magma incunearsi lungo un cortissimo percorso stridente, prima di esplodere in un giubilo di schifo, di impulsiva libidine ed euforico dolore. Subito, lo sguardo d’Esterina corse alla ricerca affannosa di una traccia sullo specchio: ah! Eccola! –pensò- Quella piccola macchia gialla sul vetro, poi, era il massimo della goduria! Scese dalla punta dei piedi, ripose ambedue le piante completamente per terra, s’allontanò un poco dallo specchio e rimase lì, immobile per alcuni lunghi secondi, guatando con lo sguardo la sua faccia riflessa e sempre più triste, ogni volta più bucata ancora. Esterina era stata sconfitta dalla tentazione e sapeva d’aver perso; sentiva la responsabilità e la colpa di quell’abbandono perché il rimorso del vizio l’avviliva. Ogni volta, ancora una volta, i rimproveri della madre le affollavano la mente e, da circa un anno ormai, fuggiva da quelle urla rintanandosi nella sua stanza, alla fine del corridoio. Da tempo la madre diceva di lei come l'innocenza di un'anima incarnata in una cosa rara, tanto ingenua da non accorgersi dell'invadente curiosità negli sguardi degli estranei pieni di frenetica libidine mista a volgare speranza. Che ipocrita! - pensava Esterina. Alla madre riusciva difficile essere gentile con lei e non sopportava l’idea che la figlia bellissima come una miss Italia, si deturpasse il volto in quel modo incosciente. Invece, ubbidendo ad un rito personale, Esterina si chiudeva a chiave e apriva il battente dell’armadio con lo specchio integrale per spogliarsi in completa solitudine e con grazia. Ogni volta, i pensieri erotici di idee piccanti l'accendevano d'una fregola frizzante che le gonfiava le labbra.


Di fronte allo specchio, cominciava dalle scarpe che volavano via addossando la punta del piede al tallone dell'altra. Poi, prima uno e poi l'altra, lanciava sul letto il maglione e la camicia per rimirarsi immobile a un passo dalla sua immagine, coi piedi scalzi di fronte allo specchio in reggiseno e jeans. Non rinunciava quasi mai a quella nudità rituale che la gelava di freddo, increspandole la pelle d’un manto di follicoli irsuti. L'incontenibile voglia di erotismo si trasformava in un desiderio capriccioso dalle mentite mani carezzevoli e curiose. Le sarebbero scivolate addosso fino ad infilarsi abilmente nei posti più nascosti e vietati, da trastullare. Ben presto le mentite mani l'accarezzeranno ovunque, complici in questo gioco eccitante. Scendevano e salivano per tutto il corpo. Riconoscevano ogni tratto della pelle, ogni piccolo neo e ogni piccola, dolce, deliziosa piega. Esterina impazziva. Su e giù, le mentite mani smaniavano forti sui gomiti ogni volta che il seno s'incastrava fra le braccia e le mammelle intrappolate si deformavano per la pressione. Con la classe che acqua non é, s'agitava. Con enfasi, fremeva. Gridolini di piacere s'appaiavano con la danza tribale della sua immagine riflessa che ondeggiava come un'odalisca e s'accoccolava di fronte allo specchio coi jeans ancora indosso e il bottone alla cintola che spiccava fuori dall'asola vuota come un boccio. A colpi di bacino abbatteva lo spazio fra lei ed il vetro per unirsi con se stessa, riflessa mezza nuda. Schiacciata sull'inguine, il dorso della mano le impinguava il pube che a tratti s'appiattiva in sincronia con gli ampi gesti della mano che faceva su e giù sotto i pantaloni. Colpo dopo colpo, la cerniera s'apriva lentamente, da sola. Aprendosi, mise a nudo i collant scuri sopra le mutandine bianche che ombrate dal nailon trasparivano per il bassorilievo a contatto con la calza. Il raffinato pizzo schiacciato contro il nailon mostrava i nodi e gli intrecci del ricamo spinti l'uno contro l'altro dalla mano intricata a turbarsi. La scena guardata allo specchio l'eccitava di più. Allora la mano s'incuneò a più non posso lungo la strettoia dei pantaloni, spingendo fra le pieghe dei jeans fino ad riuscire ad articolare solo un dito, al massimo due. Ma bastava. Così, un rigonfiamento sull'inguine e due dita agitate fra le umide falde, l'altra mano era libera di smaniare sul seno. Ora Esterina si abbassava e si alzava sulle ginocchia aprendo e chiudendo piccoli angoli, ritmicamente. Il respiro si fece affannoso e le gambe le tremavano. I muscoli si tendevano e a tratti i glutei rabbrividivano dentro i jeans ancora addosso. Poi, le mentite mani le sollevavano i capelli scoprendole il collo e la nuca. Il profumo dell'estroso vezzo aleggiava d'intorno come l'incenso appena acceso e annusando quella voglia umida e odorosa che le bagnava di gioia le dita, Esterina s'inebriava della sua giovane e pura fragranza. Allora estasiata, di nuovo fra i brividi, le mentite mani si fermarono sulle guance. Il volto fra i palmi era stretto sempre più forte finché le labbra si schiusero al bagliore dei denti come un piccolo bocciolo s'apre al sole. Fra i denti, circondati dalle labbra contorte in uno strano sorriso, fece capolino un alveo dove Esterina ficcò lo sguardo precipitando fin dentro all'ugola. Tolse la presa dal volto; lontano dai palmi il viso perse la smorfia tornando alle originali fattezze e fra i denti bianchissimi infilò le dita umorose, e levigando con la lingua la pelle ancora intrisa di lei, assaporò anche il gusto della sua giovinezza. Ansimava e mugolava con enfasi. Poi, come affacciati da una balaustra, Esterina poggiò le dita sui suoi denti bianchissimi, ordinatissimi e perfettamente in linea. Splendidi, sporgevano integri fra due labbra sensuali e gonfie, aperte nella generosa belluria di dare o attendere un lungo bacio appassionato. Stuzzicate appena un poco da una lingua insinuante che picchiettava sui polpastrelli, la bocca lucida, carnosa e gonfia si richiuse lentamente sull'indice e il medio risucchiandoli dentro, interi, fino alla gola. Lentamente scivolavano fra le labbra umide per sprofondare nel buio di una deliziosa e umida caverna dove le dita indugiarono solo un secondo. Infatti, tornarono indietro; e di nuovo su e giù, di nuovo dentro e fuori, stantuffavano il palato come l'uccello di un orologio a cucù entra ed esce dodici volte dalla sua finestrella, alle dodici. Nervose, le dita si dimenavano anche, sforbiciando dentro alla bocca come se dovessero agganciare l'ultima nocciolina bloccata fra le pieghe di una scatola ormai vuota ma così stretta da non lasciare entrare la mano intera. Ora, l'adolescente alitò un grande sospiro. Intanto, l'altra mano stuzzicava il capezzolo incastrato tra il pollice, l'indice e il reggiseno. Il rigirìo del turgido fregio avvitato era un gesto delizioso che Esterina faceva con grazia senza perdere di vista il capezzolo che si srotolava come una molla, all'inverso. Le sue dita armeggiavano con fare sensuale le fibbie e i merletti che Esterina apriva, spostava e sollevava col fare aggraziato e sensuale del quale azzeccava l’attimo, come se uno sguardo furtivo fosse lì, pronto a rubarle sinonimi di possesso, succulenti virtuosismi, abili contatti tattili e metafore di amplessi. I brividi che a tratti l'assalivano intensi affettavano la sua integrità che si smarriva nel desiderio di lussuria. Delicatamente, con la sensualità dell'amante più esigente, Esterina sfilò e lasciò cadere il reggiseno ai suoi piedi. Andava orgogliosa del suo seno indeformabile, soverchiato da due grandi aureole conflate nella pelle come scure ventose agganciate a due bellissimi capezzoli sempre all’erta. Eccitatissima, tutto questo ardore era educato. Non le riusciva d'essere volgare, neanche quando lasciava filare la saliva sul seno o spingeva la lingua oltre i denti, frullando l'aria con la libidine stampata sul volto e gli occhi semichiusi, quasi dicesse al suo corpo d'abbandonarsi e d'aprirsi. Alacremente portava la mano alla bocca quasi fosse una coccia in cui raccogliere la saliva da versare dentro nell'ombelico. Il piccolo imbuto si riempì una, due, tre volte della calda mescita che Esterina incanalava dentro il centro del mondo sommerso così, da una crema densa che filava costellata di piccole bollicine. Si specchiava, Esterina. Coi pensieri avvolti nella lussuria sentiva la libidine accendersi in un furore impetuoso che desiderava spegnersi, finire. E intanto ansimava, si piegava sulle ginocchia sforzandosi in una bislacca posizione concava, pancia all'insù, col mento sul petto e i capelli perpendicolari al parquet per trattenere dentro quel piccolo e profondo alveo l'intruglio lattescente e perlato. In quella posizione, l'impiastro si specchiava nella sua cavità piena di saliva che tracimava un poco lungo il ventre, oltre i bordi di una fonte cieca. Allora Esterina sfregò la mentita mano freneticamente contro il cavallo dei jeans fino a farsi bruciare la pelle che scottava sopra e sotto i pantaloni. E il pube s'infiammò. Immaginò le mentite mani impunemente strette ai fianchi, mentre una lingua umida e calda s'incuneava nel suo ombelico con un rigirìo impiccione e bavoso. Poi, sensuali e sudate, quelle bellissime e mentite mani le attanagliavano il seno coi capezzoli sempre all'erta. Una la sollevò e l'altra la schiaffeggiò di diritto e di rovescio. Poi, più turgida e arrossata, agganciò il capezzolo e lo tirò, lo girò, lo avvitò e lo spremette mentre la lingua lo bagnava di saliva. Più scuro della pelle, sbocciava oltre l'aureola così austero e coriaceo da poter essere stretto fra le dita come un codolo. Bellissimo - s'agitava la mano. Bellissima! - si lodava Esterina. La mentita mano avvitava il capezzolo, che avvitava l'aureola, che strizzava la pelle, che s'arrossava leggermente maculata dintorno alle piccole grinze che s'affollavano piacevolmente dolorose, prima di ritornare stese e lisce dopo la presa. Il piacevole dolore s'estendeva a tutto il seno mischiandosi ai brividi che briosi scorrazzavano sotto la cintola fino alla schiena. La lingerie le pesava addosso come una nuova pelle, sempre più costipata ad ogni respiro pregno di sensualità. Esterina si contorceva, mugolava e s'affannava d'appresso alla sua libidine in piena. Non si fermò neanche al gelido contatto con il vetro, quando Esterina appoggiò il suo busto contro lo specchio preso a morsi, a baci, leccato fra sciami fumiganti di diafano vapore rappreso sul vetro arrembato come un amante. Appena si staccò, il suo ritratto vaporoso s'era aqquagliato sul vetro dove posava in chiaroscuro, figurato nelle fattezze d'una doppiezza avvampata fra tentazioni struggenti, come lo schizzo sulla tela di un quadro che nessun colore potrà mai cancellare del tutto. Ora Esterina era focosa. Le mentite mani la stringevano, la strisciavano, la spalmavano e la bagnavano. Le pensava dentro i pantaloni, scese fino ai glutei ad afferrarle le chiappe con il furore sconfinato dell'adolescenza che lascia l'impronta sulla pelle strapazzata dalle strette. Invasa dalla libidine, ora che non avrebbe opposto alcuna resistenza, voleva soltanto esser travolta dall'euforia dei sensi e della sensualità; si sarebbe lasciata schiacciare e premere, penetrare e riempire. Ora si liberava di ogni impaccio. Voleva essere nuda, completamente. I Jeans scivolarono via come se qualcuno li avesse tirati dall'orlo e i collant che le segnavano la pelle con un solco intorno alla vita, mostravano molti piccoli bozzoli incotennati nel nailon, rabberciati con ago e cotone e lasciati immemori a testimoniare che qualcosa aveva già trafitto il tessuto. Distesa sul letto della sua camera, Esterina restò a gambe all'aria e con il seno indeformabile a puntare il tetto coi capezzoli irsuti. Le mutandine infrattate tra un labbro e l'altro, umide, s'erano attaccate alla giovane pelle unta del suo gemizio. Lentamente le aveva staccate dal solco per lanciarle subito dopo, volate via con un unico gesto. Intanto, altra saliva ancora ostentava dall'onfalo scivolando in discesa, lungo il fianco segnato dal suo umido tragitto. Ora Esterina, testa sul cuscino, gambe rannicchiate e aperte, poggiava ambedue i piedi sul piumone del letto. Mentre si frullava la clitoride, le dita dei piedi mostravano la tensione dell'esuberante piacere mentre i talloni s'affossavano nella coperta. Fra i sospiri e gli affanni, fra i continui gridolini e i sonori versi di un gaudio istintivo lasciato al completo diletto, Esterina emise uno, due fortissimi ansiti. E i piedi poggiarono interi sulla coperta. Poi, poi le gambe si distesero fra i piacevoli fremiti. Con molte ghiandole agitate e molti ormoni ancora in circolo, quando si alzò, Esterina lo fece con un portamento delizioso, aggiustandosi i capelli e camminando verso lo specchio come se dovesse indossare l'abito da sposa. Il seno in posa, un piede dopo l'altro sembrava che scivolasse come un angelo sopra un manto di soffici nubi fino allo specchio. Di nuovo il suo sguardo fissava il suo bellissimo corpo nudo e giovane, armonioso e vitale, lucente di un'aura che era l'esatta espressione del suo intimo in pace coi sensi e sereno con se stesso. Si guardava Esterina: stava bene Esterina! Ma come tutte le cose più belle che durano fatalmente poco, la gioia stava per finire. Passi veloci, smorzati dal tappeto correvano lungo il corridoio fino alla porta d'Esterina dove si fermarono d'un tratto, minacciosi. Il suo nome rintronò dietro alla porta colpita dalle robuste nocche della madre adirata che sembrava volesse entrare nel postribolo della perdizione.

Allora Esterina pensò che ne avrebbe schiacciato un altro, di brufolo!


di uydpla@tin.it

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La Beffa by hantuan

Sentì suonare, guardò lo specchietto retrovisore, dietro di lui uno stronzo, su di un furgoncino faceva gestacci, alzò gli occhi verso il semaforo, era verde, lasciò distrattamente la frizione della Lancia K facendola strattonare, era stanco, nervoso, pensava alla moglie, la bella Milena, erano sposati ormai da quasi sette anni e tutto era andato bene sino ad oggi, almeno in parte,

Sentiva che tra loro mancava qualcosa, l’amore sì che c’era, ma sentiva la mancanza di quel certo nonsochè che completa l’opera, come l’odore in un fiore o la firma in quadro famoso.

Dovevano chiarire i dissapori che si erano creati giorno dopo giorno, capirsi, aprirsi l’un con l’altro e plasmarsi a vicenda, adattandosi, mettendo da parte l’orgoglio e l’astio, e con l’inesorabile lentezza,

paragonabile a una goccia d’acqua che pian piano scava la roccia,

loro si stavano distaccando

La cosa sicuramente non faceva piacere a nessuno dei due, lui l’amava sempre di più, come il primo giorno che l’aveva vista, e lei lo ricambiava in tutto e per tutto.

Allora, passando davanti alla vetrina multicolore di un fioraio comprò delle rose rosse.



Sette, per quanto erano gli anni che erano trascorsi da quando avevano coronato il loro sogno d’amore.




Rose, la rosa è simbolo di passione gliele avrebbe donate in segno d’amore, sperando in una svolta che avrebbe migliorato i loro rapporti.



Rosse, come il colore della lussuria, sperare era chiedere poco, ci sarebbe voluto un miracolo.



Sorrise pensando tra di se’: sto diventando matto.



Girò la chiave nella toppa, uno scatto, due, Milena non era ancora rientrata, probabilmente era uscita con la sorella per aiutarla a scegliere l’abito da sposa.

Sistemò le rose in un vaso di cristallo e le parò in bella vista sul tavolo del salone

“avendo la cura di togliere la stagnola che avvolgeva gli steli”.

Fu allettato dall’idea di versarsi un brandy, ci pensò, era raro che lui toccasse alcolici, bastava un Martini a fargli fare delle cose strane e l’indomani non ricordarsi più niente, No, decise che non era il caso, doveva essere sobrio e lucido per sistemare le cose, così desistette.

Mise invece in frigo una delle bottiglie di champagne Moet Chandon che gli aveva regalato in segno di riconoscimento il padre di una sua alunna cui lui aveva dato alcune ripetizioni, che poi aveva interrotto.



Trovarsi in casa da solo con Linda, quella splendida e adorabile ninfetta, a tu per tu con il suo giovane ed esile corpo che si andava formando riempiendosi nei punti giusti iniziava a turbare i suoi sonni, non lo faceva sentire a suo agio, aveva preso la decisione che era meglio abbandonare subito, prima che accadesse l’irreparabile, si era scusato con i genitori sostenendo che non poteva, accampando come scusa che doveva dedicare più tempo all’anziana madre.



Aprì il rubinetto della vasca, un bel bagno lo avrebbe rimesso a nuovo, si spogliò evitando di mettere tutto alla rinfusa com’era solito fare, accese lo stereo, inserì un cd, un po’ di musica di sottofondo e l’ideale in qualsiasi situazione.

Con grande magia le note di una vecchia canzone avvolsero l’aria.

Si guardò allo specchio, ammirandosi con un pizzico di narcisismo i grossi e nerboruti bicipiti, nonostante non frequentasse più la palestra i muscoli erano ancora pompati.

La sua carnagione scura gli dava un’aria da fico, a volte in classe abbassava lo sguardo per evitare le occhiate delle sue alunne più spregiudicate, sorrise ripensando alle parole del suo predecessore,

Il professor Brancacci, il giorno che gli affidò la 2° B, che doveva lasciare per cause di salute;



>

>



Un po’ di bagnoschiuma agli ‘Aghi di pino’ era l’ideale per rilassarsi, si infilò nella vasca immergendo anche la testa in acqua, come quando era bambino.



Sentì dei rumori, è incredibile come i tubi dell’acqua trasportino le voci,



Udì distintamente la voce di Mirella, la sua cognatina, che abitava nell’appartamento sottostante,

quindi le due sorelle erano tornate, ancora pochi minuti e Milena sarebbe apparsa sulla soglia bella come sempre, quanto avrebbe tanto voluto che lei entrasse nella vasca con lui, per fare l’amore in acqua, peccato che lei fosse così pudica da non farsi vedere nuda, diceva che la cosa la imbarazzava,

conosceva il corpo della moglie con le mani, e non in determinate zone,



Il non mostrarsi nuda era stata una sua precisa richiesta il giorno delle nozze e lui per amore aveva acconsentito promettendo che non sarebbe mai più tornato sull’argomento,

Credeva che con il tempo si sarebbe sbloccata e avrebbe preso lei l’iniziativa, invece no!,



A letto sesso rigorosamente in posizione classica

”alla Missionaria e nel buio più totale”



“I pompini, i sessantanove, per non parlare di tutte le varianti sessuali utilizzate facendo sesso con la sua vecchia fiamma, prima di conoscere Milena facevano parte ormai dei ricordi del passato”



Scivolò per sciacquarsi nell’acqua che ormai si stava raffreddando.

Udì un gemito:

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Uscì la testa per riprendere fiato e vide la cappella paonazza del suo cazzo turgido sembrava un fungo in un lago, senza rendersene conto, lo stringeva con la mano alla base serrandolo forte, non si sapeva così “guardone”,

Mirella se la godeva alla grande, si stava facendo leccare la fica.

Non come Milena…. (vergine al matrimonio alle soglie del 2000)



>,



Certo che la cognatina ha le idee chiare, sadiche ma chiare, pensò,



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>





Non capiva quello che stava succedendo nell’appartamento sottostante, l’italiano di Mirella faceva acqua da tutte le parti, ma non gliene importava molto adesso, era eccitato come non mai, sentiva le vene del suo cazzo pulsare pompando sangue, mentre la mano iniziava un lento lavorio per darsi piacere, d’altronde masturbarsi era diventata la sola alternativa che usava come pratica sessuale, oltre alla bella, ma alla lunga monotona scopata che faceva con la moglie Milena.

Ogni volta sembrava la fotocopia di quella precedente.



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Allora erano in tre!, non erano da soli Mirella e Valter il neosposo,

di conseguenza un dubbio gli passò per la testa.





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Il modo sboccato di parlare della cognata non faceva che accrescere la sua eccitazione, sentiva lo sperma montargli nei coglioni,

prese più aria possibile prima di immergersi voleva sborrare,



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Tossì fortemente, sputando l’acqua che aveva in bocca, stava quasi per affogare, d’altronde; capire, sentendolo affermare dalla bocca della moglie, l’amore della sua vita che si sdoppiava in un alter ego.

In una sorta di Dottor Jekkil e Mister Heid, dove lei da morigerata e candida sposina in una strana metamorfosi si trasformava in una grande troia affamata di sesso alla costante ricerca di cazzo.

Vedendo le cose dal punto di vista di Milena a lui toccava la parte del bravo sposino timidino e bigotto, che non vedeva aldilà del proprio naso,

Nò!, Questo proprio non gli andava giù, le cose dovevano cambiare……….

Non si sentiva tradito, non era geloso o furente con la moglie che gli aveva abilmente celato il suo vero essere, la sua intelligenza era più forte di qualsiasi gelosia, Anzi era contento, Ora sapeva contro chi combattere,

Non contro i mulini a vento,

Trovava finalmente una logica ed esaudente risposta a tanti perché a tutte le domande, che non aveva avuto il coraggio di porre alla moglie.

Ormai ciò che era stato fatto faceva parte del passato ora toccava a lui darsi da fare se voleva dare una svolta cruciale e positiva alla sua vita.



Radicalmente cambiare!!…………



Elaborò velocemente un piano, usci dalla vasca e infilò un accappatoio,

andò a aggiungere un’altra bottiglia di champagne a quella che si trovava già in frigo, il piano si andava lentamente delineando……

Indossò dei pantaloncini blu, dei sandali neri e una di quelle canottiere bianche che usava quando si allenava, di quelle che evidenziano e lasciano scoperti i muscoli del torace, aveva sentito più volte lo sguardo languido carico e desideroso di Milena posarvi sopra e fissarlo furtivamente attratta dal suo corpo, per poi volgerlo subito altrove,

Lo squillo del campanello lo riportò con i piedi per terra, andò ad aprire,

Era lei bella non mai, l’orgasmo prima raggiunto aveva rilassato l’epidermide,

I suoi occhi brillavano per via delle pupille ancora leggermente dilatate.



> disse sistemandosi sui capelli gli scuri occhiali da sole, la baciò sulla guancia, forse era la suggestione ma appoggiando le labbra sul suo volto aveva percepito odore di sesso, nonostante la forte fragranza del profumo Chanel n°5 ella fosse solita ad usare in quantità esagerata.

Entrò in casa con fare sicuro, indossava un abito scuro che fasciava il suo longilineo corpo, le scarpe nere con i tacchi a spillo la slanciavano, facendola sembrare più alta, affusolando ancor di più le caviglie, i capelli legati in uno chignon fermati da uno spillone le lasciavano la sensualissima nuca scoperta, quante volte si sarebbe soffermato a baciargliela, sfiorargliela, passando lentamente la punta della lingua in quella tenue peluria, sino a farle venire i brividi alla schiena, anche quella era una di quelle piccole cose che a lui mancavano.



>

>

> lei si avvicinò nuovamente e appoggiando le labbra alle sue, questa volta riuscì a sentire nettamente il sapore acre dell’umore di Mirella, almeno si augurò, in alternativa poteva essere lo sperma del suo futuro cognato, si meravigliò di se stesso in quanto la cosa non lo aveva minimamente schifato.





Cenarono come al solito nel grande salone, consumando il pranzo veloce che lui aveva preparato, a base di pesce precotto, innaffiato da un buon vino bianco,

il Colomba Platino faceva al caso, sposava con il pesce alla perfezione,

La luce tremolante delle candele creava un’atmosfera particolare riflettendosi sui petali delle rose parate in bella vista al centro al tavolo

Poi come di consuetudine si spostarono sul divano a fumare e guardare la tv,

dopo che lei ebbe spento la sigaretta,

Andò in cucina da dove tornò con lo champagne e due bicchieri adatti,

>

>, disse lui,

>

e dandogli le spalle riempì i bicchieri, non dopo aver fatto cadere della cenere in quello di lei, glielo offrì, lei bevve degustando lentamente, allora guardandola dritto negli occhi, si mosse per cercare la sua bocca, lei non si allontano, ma serrò le labbra irrigidendosi come era solita fare, di conseguenza lui si sarebbe allontanato indispettito, invece no!,

Stavolta sapeva cosa fare, La invitò a ballare, versandole dell’altro champagne, che lei bevve avidamente, cucinando il pesce aveva appositamente esagerato con il sale, di conseguenza la sete era normale.

Si era versato anche lui lo champagne, ma con un abile colpo di mano aveva rovesciato il contenuto del bicchiere sul tavolino, fingendo di essere brillo,

ne’approfittò per riempire nuovamente il bicchiere di Milena e fingere di versarne anche per se e di bere.

Al terzo bicchiere lei già ballava da sola al centro della stanza al ritmo di musica latinoamericana, si era tolta le scarpe e con il ballonzolare continuo dei seni il top si era alzato in vita scoprendo l’ombelico ed il bianco ventre, rimase senza parole vedendo i segni bluastri dei lividi che lo decoravano, tirò dentro la saliva che si era accumulata in gola, andò a prendere l’altra bottiglia,

In cucina si asciugò il sudore che copioso gli imperlava la fronte, sentire che Milena adorava farsi percuotere era un conto, ma vedere i segni, per lui che aveva timore anche a prenderla per un polso per timore di farle del male gli veniva pesante, bevve dell’acqua fredda, per riprendersi, doveva portare a termine la cosa, se no sarebbe andato via di casa la sera stessa.

La musica spagnoleggiante del film “ Il Ciclone “, arrivava dal salone.



>, entrò agitando la bottiglia,

Milena era montata su di un tavolo e tenendosi la gonna su con le mani muoveva dei passi di flamenco guardandosi i piedi, fu proprio lì che posò il suo sguardo, erano l’oggetto del suo desiderio, e quelle poche volte che glieli aveva toccati con la scusa di massaggiarli per togliere i segni delle stringhe, Lei prediligeva quel genere di calzature, inevitabilmente era finito in bagno per darsi piacere e far calare la sua eccitazione, non voleva lei sapesse delle sue perversioni, del suo essere feticista.

>

Ormai era cotta, si allungò per prendere il bicchiere e per poco non cadde dal tavolo, inciampando nella lunga gonna, la aveva lasciata cadere giù,

Lui la aiutò a tenere l’equilibrio trattenendola dai fianchi,

>

> esclamò, lanciando il bicchiere di cristallo alle sue spalle che si andò ad infrangere sulla colonna del camino, disintegrandosi in mille frammenti.

Intanto la musica spagnola era finita lasciando spazio ad una musica da discoteca, ballabile, molto ritmata, ma con i toni bassi così elevati da provocare la sensazione di sentirli dentro di se’.



Ebbe paura non aveva mai visto Milena così euforica e spregiudicata,

lei che ai suoi occhi era apparsa sempre fredda e distaccata,

>

> e barcollò pericolosamente,

> si accorse che le stava parlando con un tono autoritario, che non avrebbe usato nemmeno con il suo cane, si scoprì eccitato,

La tirò per la gonna, che lei divincolandosi lasciò scivolare dai fianchi e scalciò con i piedi, continuando a ballare in top e le mutandine, che altri non erano che un esiguo triangolino di stoffa color prugna che a stento le ricopriva i chiari peli pubici trattenuto da un laccetto che le spariva tra le rosee e martoriate chiappe, per poi avvolgerle i tondi fianchi.

La visione era sublime, vedere il corpo flessuoso di Milena muoversi ritmicamente,

mentre si alzava i capelli, lo ipnotizzava, era bello da vedersi.

> Era eccitato come non mai, sentiva il cazzo premere nei suoi pantaloncini aderenti, le diede una sonora pacca nel culo

> furono le parole che riuscì a sentire in mezzo a quel frastuono.

Si avvicinò allo stereo per spegnerlo, fingendosi irritato, nell’euforia sbagliò tasto e la voce roca di

Joe Cocker nel famoso brano dello spogliarello in ” 9 settimane e 1/2 “ echeggiò nella stanza;

così Milena imitando la sensualissima Kim Basinger iniziò un estenuante spogliarello.

Iniziò ad ancheggiare alzando le mani, per sistemarsi capelli e poi prendere il top e sfilarlo facendolo roteare in aria e gettarlo lontano, il reggiseno anch’esso color prugna a stento conteneva i

seni prosperosi che seguendo i movimenti del corpo dondolavano dolcemente,

da non credere, sua moglie stava danzando improvvisando uno spogliarello per lui.

>

> riempì il bicchiere solo a metà non voleva correre il rischio che si addormentasse sul più bello, non allungò la mano più di tanto cosi che lei si dovette accosciare per prendere il bicchiere, tolse la mano, che teneva il reggiseno già sganciato lasciando libere le candide mammelle, con i denti afferrò un capezzolo succhiandolo avidamente, con la mano stringeva l’altro seno.

>

si allontanò e lasciò partire una manata sul seno

>

> ci stava prendendo gusto, lei ogni tanto in uno sprazzo di lucidità lo fissava, poi continuava, facendo roteare i fianchi come una danzatrice del ventre prese un seno e lo portò alla bocca tirandosi il capezzolo con i denti quasi a staccarselo, mentre la mano accarezzando il ventre scivolava sotto le mutandine, lui si alzò e prese la bottiglia la agitò schizzandola in volto e sui seni, la donna era in delirio, leccava lo champagne che si trovava ai lati della bocca, e si spalmava quello sui seni, con mossa repentina si sfilò le mutandine lasciando alla vista di Franco, le labbra della fica erano lisce, abilmente depilate con solo un ciuffo di peli tagliati a triangolo, Franco appoggiò la bottiglia ormai vuota al centro del tavolo trattenendola con la mano, Milena come in una tacita intesa iniziò ad accosciarsi, la sua intimità si schiuse lasciando intravedere il rossore del suo interno, mentre Milena con l’estremità della bottiglia si titillava il clitoride, mugolava come una cagna in calore.



allungò una mano per accarezzarle il volto teso per l’eccitazione, lei aprì la bocca e gli leccò un dito imitando un lussurioso pompino, intanto lei con fare sapiente giocava con la bottiglia,

allora scialati, e le diede un ceffone in una guancia talmente forte da farle girare la testa e lasciarle impressa la forma della sua mano, tentennò, credendo di aver esagerato, lei lo guardo e con il sangue che gli colava dal labbro disse:

> allora godi, puttana e appoggiandole la mano sulla sua spalla la spinse verso il basso facendole sparire la bottiglia dentro di lei per trequarti,

>

disse Milena mentre i suoi umori colavano fuori e dentro la bottiglia,

>

>

> prese la bottiglia e la tiro fuori di lei con furia provocando uno schiocco, dovuto alla pressione che si era creata all’interno.

Con uno spintone la buttò giù dal tavolo, facendola cadere carponi su di una grande pianta grassa, comunemente chiamata “ La poltrona della suocera ” a causa della moltitudine di minuscole spine da cui e rivestita, Franco rabbrividì, pensando di averla fatta grossa quando la senti gemere.



>

> allora Franco si avvicinò a lei glielo appoggiò, ma lei con un colpo di reni lo accolse tutto dentro di lei, era ancora dilatata a causa della bottiglia, uscì il cazzo impiastricciato degli umori di lei,

appoggiò il glande nel culo spingendo dolcemente,

> disse lei impaziente,

>

> e spingendo il culo all’indietro accolse tutto il cazzo dentro di se,

> allungo le mani per stringerle i seni ma si punse,

Milena sembrava un puntaspilli, allora puntellandosi sulle ginocchia cominciò a muoversi dentro di lei. fu l’unica cosa che riuscì a sentire.

>

alzandosi gli appoggiò il piede sulla schiena pressandola ancor di più sulle spine mentre aiutandosi con la mano veniva copiosamente sulla schiena e sui glutei.

> disse lei in un tono rilassato.

Suonarono e bussarono alla porta, quasi la volessero buttare giù.

Franco s’infilò il pantaloncino in fretta e furia e andò ad aprire,

Avvolta in un’accappatoio rosa vi era Mirella, sua cognata, appena lui aprì la porta gli passò sotto il braccio sgaiattolando dentro.

> No, niente Milena è scivolata,

Intanto Mirella era entrata nel salone dove vide la sorella nuda, con il corpo visibilmente strapazzato, addormentata accanto alla pianta,

>

> furono le parole che Milena riuscì a pronunciare, alzò la mano che aveva appoggiato alle spalle della sorella notando una sostanza appiccicaticcia, maliziosamente portò l’indice alla bocca succhiandolo, sentì il sapore della sborra, si voltò a guardare il cognato che nel frattempo si era seduto sul divano accorgendosi solo allora delle vistose e inequivocabili macchie sui pantaloni.

>

>

>

Sorrise slacciandosi l’accappatoio, scoprendo il suo corpo da cerbiatta e camminando carponi si avvicinò al cognato.



Gli accarezzò la gamba irta di peli, giocherellando con essi, risalendo piano sotto i pantaloncini sino ad arrivare all’inguine sfiorando con il dorso delle dita la sacca scrotale, mentre senza spostare lo sguardo dai suoi occhi gli passava la lingua sul torace muscoloso.

Si rizzò in piedi di scatto

>

> e appoggiò, le labbra alle sue, lei ricambiò, le lingue si sfiorarono come in un dolce rincorrersi.

> disse, accarezzandogli il volto,

Allora gli raccontò della vasca, che prima quando erano di sotto, da lei, aveva sentito le voci di tutti e tre, la sua, quella di Milena e quella di Valter, che si era eccitato allo spasimo e masturbato ascoltando il suo turpiloquio, nonostante stesse accorgendosi in quel momento che non conosceva assolutamente la verità, era felice perché aveva capito chi fosse in realtà la propria moglie.



Era…………Milena:



La porca Milena



La troia Milena



La vacca Milena



La zoccola Milena



La pompinara Milena



La puttana Milena



La cagna Milena



La bella Milena



La vera Milena



La sua amata Milena



La sua futura vita con Milena, che da oggi avrebbe amato sempre di più.

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La moglie del capo by Anonimo

Questa che sto per raccontarvi è una storia vera ed è soltanto il primo capitolo di una lunga serie di incontri anonimi ed in posti strani avuti con la moglie del mio capoufficio. Una storia di vera e propria “molestia sessuale”.

Tutto ebbe inizio al ristorante. Il capo volle organizzare una cena con tutti i dipendenti per festeggiare l’incremento dei ricavi dell’azienda. Era estate e ad accompagnarlo c’era la moglie. Una splendida bionda, sensuale. Era abbronzatissima, con un vestito nero e scollato, con le bretelle, e gonna corta. Appena arrivò, non l’avevo mai vista prima, mi colpì per il suo profumo e per l’abbigliamento. Gli occhi caddero sulla scollatura e sulle scarpe, con tacchi alti, ed i piedi splendidamente abbronzati e ricoperti di smalto rosso fuoco. Eravamo seduti di fronte e per il primo quarto d’ora della cena non faceva altro che lanciarmi sguardi conturbanti e sorrisi smaglianti. Non nascondo che mi imbarazzava. Poi, all’improvviso, le cade la posata sotto il tavolo e mi guarda. “La prendo io, non si scomodi” dissi, e mi chinai sotto il tavolo.




Appena infilata la testa, la sorpresa. Aveva sfilato le scarpe e mi apriva le gambe. Non indossava niente, ed una leggera peluria bionda si intravedeva appena. Ma la cosa che più mi eccitò fu che appena chinato per raccogliere la forchetta lei mi poggiò un piede sul viso, ed io istintivamente aprii la bocca portandolo alle labbra. Accadde in una frazione di secondo: avidamente le morsi le dita e succhiai profondamente. “Allora l’ha trovata la forchetta” disse il capo, “eccola” risposi ritornando su. Riprendemmo a cenare, ma all’improvviso sento qualcosa appoggiarsi sulla patta dei pantaloni. Lei – solo dopo seppi che si chiamava Mara -, mi aveva allungato il piede sul cazzo, guardandomi con un’espressione da vera troia. Cominciò a spingere freneticamente facendolo diventare durissimo con pochi colpi. Ero davvero eccitato, al punto che persi i freni inibitori e lo tirai fuori, tanto c’era la tovaglia a coprire tutto. Con un’abilità sconcertante me lo strinse tra le dita del piede, massaggiandomi la cappella con una dolcezza mai provata. Dopo pochi minuti ero venuto. Il liquido caldo le aveva ricoperto il piede e mentre il secondo fiotto le ricopriva le dita ricordo la sua espressione: si mordeva le labbra. Mi ricomposi a fatica, ma nessuno aveva notato niente. Al termine della seconda portata la troia, eccitata, si alza e va in bagno. Dopo trenta secondi il gestore del locale mi chiama dicendomi che mi desiderano al telefono. Era Mara che dalla toilette delle donne aveva telefonato con il suo cellulare: “Sbrigati vieni nel bagno delle donne: Sono nell’ultimo bagno. Mi hai fatto eccitare, muoviti, altrimenti ti faccio licenziare dicendo che mi hai fatto delle avance”. Non me lo feci ripetere due volte e mi catapultai nella toilette. Aveva la gonna sollevata. Mi afferrò per la testa e si fece leccare la figa, già bagnata Mi venne in bocca dopo nemmeno un minuto. I suoi umori erano davvero indescrivibili. Mi spinse contro la porta e mi tirò fuori il membro già duro. Se lo infilò in bocca e disse: “Si sente ancora il sapore della sborra. Mi fa impazzire”. Prese a succhiarlo come un’ossessa mentre gemeva e diceva “vieni, non abbiamo tempo”. E nel succhiare lo tirava fuori, faceva scendere un filo di saliva sulla cappella, e poi riprendeva. Non vi dico la sensazione che provai. Lo stringeva forte tra le labbra e succhiava solo la cappella. Poi esplosi e lei non stacco mai la testa dal mio cazzo mentre tre fiotti caldi di sperma le riempirono la bocca. Ingoiò tutto e succhiò anche le residue gocce. Poi con la mano si pulì le labbra e disse: “Quel coglione di mio marito queste cose se le sogna. Un cazzo così duro non lo provavo da anni”. Ci ricomponemmo e prima di tornare a tavola mi disse: “Da oggi in poi devi fare quello che dico io e quando vorrò. Altrimenti ti faccio licenziare dicendo che mi sei saltato addosso”. Il tutto era avvenuto al massimo in cinque minuti. Tornò a tavola prima lei e dopo qualche minuto io. Nessuno notò niente e lei fu la prima a chiedermi ad alta voce quando mi sedetti: “Chi era al telefono. Mica è successo qualcosa di grave a casa?”.

“Mia sorella ha avuto un malore – dissi ma è tutto sotto controllo”. Da allora ci siamo incontrati almeno una trentina di volte, facendo le cose più inaudite nei posti più strani. Oggi, ho cambiato lavoro……per la disperazione.

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L'attesa by admin

Era un giorno come gli altri nel mio ufficio, c’era freddo perché era inverno e la bassa temperatura si faceva sentire, un po’ per noia un po’ per curiosità entrai in Internet alla ricerca di qualcosa che potesse stimolare la mia mente ormai satura di lavoro.



Entrai in chat e ne scelsi una dove si parlava di sesso. La maggior parte erano ragazzini che giocavano e non sapevano quello che dicevano, me ne accorsi subito, ma prima di andarmene scoraggiata venni contattata da un tizio con un nik che era tutto un programma: Pene Eretto.

Pensai: il solito ragazzino che si fa le seghe davanti al PC, invece il signor “Pene Eretto” si rivelò un uomo intrigante e pieno di risorse, aveva 35 anni e la voglia di un 15enne.



Bene, il ghiaccio era rotto e così ci mettemmo in comunicazione tramite il messanger, facemmo conoscenza e vidi che era un tipo abbastanza “veloce” andava per le spicce. A volte con il suo modo volgare e frettoloso mi infastidiva e così toglievo la comunicazione quando cominciava a fare il cretino. In linea di massima di arappava come pochi e così decisi di continuare.



Non mi dilungo a spiegare qui quello che facevamo durante le nostre conversazioni anche perché il vero momento interessante è stato quando lui mi ha detto:”Ci dobbiamo vedere dal vivo”.

Panico, vero panico.

Io non sono libera e neppure lui, ma perché non li basta quello che gli do in chat? Niente da fare, lui è irremovibile, vuole leccare la mia micetta dal vivo e non è più disposto ad immaginarsela e basta.

Bene.

Invento una scusa con il mio compagno mi tengo libera un’intera giornata e gli do appuntamento a metà strada. Io arrivo con il treno e lui con la macchina.

Mi viene a prendere alla stazione e lo trovo in piedi ad aspettarmi, so che è lui perché avevo delle foto, oltre che del suo uccello, anche del suo viso.



Mi vede e mi riconosce anche lui, c’è un momento di imbarazzo da entrambe le parti e poi dico: “Beh eccoci qua, andiamo a bere qualcosa?” lui dice di si e ci rechiamo insieme in un bar li vicino, casualmente è vicino anche ad un albergo e la mia micetta trovandosi di fronte a quell’uomo che l’ha fatta bagnare e godere più volte nel corso dei nostri precedenti incontri virtuali, comincia a farmi capire che le andrebbe di conoscerlo sul serio.

Lui mi guarda e mi dice: “Sei meglio dal vivo, e tutta la ciccia che dicevi di avere a me sembra solo carne al posto giusto” So che lui non è romantico e letteralmente se ne frega di corteggiarmi, vuole scopare e questo lo so, lo voglio anch’io.



Finito di bere andiamo direttamente in albergo, senza tante cerimonie, intanto penso “se questa deve essere una gran trombata facciamola partire da subito”. Ci registriamo e poi saliamo in camera.

E’ una matrimoniale normale, non lussuosa ma tanto a noi non importa certo l’arredamento.

Appena entrati mi mette la lingua in bocca, io lo trovo fastidioso così lo allontano: “Cerchiamo di non fare tanto i romantici” dico io, “Va bene” concorda.



Ci spogliamo guardandoci negli occhi ma l’unica cosa che vedo nei suoi è la mia voglia repressa per mesi, dopo esserci tolti i vestiti lui mi guarda e mi fa capire che gli piaccio nonostante i miei chili in più. Mi porta in bagno e mi mette sotto la doccia dove ci laviamo a vicenda, giusto per non avere brutte sorprese.









Finalmente siamo sul letto e lui comincia a toccarmi dappertutto tranne che la mia micetta, mi accarezza il corpo con le mani aperte come volesse massaggiarmi ma non pressa come un massaggiatore, ben presto la mia micina comincia a bagnarsi, mi bagno le cosce e il mio odore si comincia a sentire nell’aria, io rimango distesa con gli occhi chiusi mentre lui continua la sua esplorazione senza mai toccarmi la fica. Ora ho un braccio sugli occhi e cerco di godermi quel contatto il più possibile, non ho ancora guardato il suo sesso se è cresciuto o no, onestamente in questo momento ho solo tanta voglia di farmi toccare la fica, la sento gonfia, il grilletto è già diventato duro, gli umori cominciano a colare, ho bisogno di essere scopata e lui lo sa, lo sente, per questo continua con il suo non-massaggio, per snervarmi e forse vuole che sia io a chiedere di sbattermi. Ma resisto, ho voglia di giocare.



Ecco ci siamo:

le sue mani mi allargano le cosce, ho le gambe allargate il più possibile e finalmente sento il tocco delle sue mani mi scostano le labbra della micia e gliele bagno, lui commenta “brava, vedo che sei come mi aspettavo, vediamo cosa abbiamo qua? Ah vedo un bel po’ di carne da stropicciare e succhiare e poi un delizioso grilletto da tormentare come piace a me” Più lui mi parlava più io mi bagnavo, tenevo sempre gli occhi chiusi, aspettavo che continuasse l’esplorazione, cominciavo veramente a non poterne più. “Dai, toccamela, infilami un dito, due, quanti ne vuoi” dissi “No, devi aspettare abbiamo tutto il giorno e ho voglia di guardartela ancora un po” Detto questo prese un torcia tascabile e l’accese sulla mia fica, voleva veramente guardarla!! A quel punto aprii gli occhi e lo vidi che si leccava le labbra mentre mi guardava la micia, quando vidi la voglia che aveva quell’uomo di avermi mi bagnai ancora di più, vidi che aveva un’erezione grandiosa, sapevo che aveva una gran cazzo ma non immagino che fosse così bello, mi venne voglia di prenderlo subito in bocca ma sapevo che lui non me lo avrebbe permesso.



Rimasi ancora così mentre lui mi studiava per bene, ad un tratto mi guardò negli occhi e mi disse di girarmi a pecora, lo feci e lui riprese a studiarmi con la luce anche in quella posizione, io mi eccitavo sempre di più e infine lui si decise finalmente a toccarmela.

Sempre a pecora, mi aprii le labbra con le dita e fece venir fuori il mio grilletto così gonfio e voglioso e in cerca di attenzioni, con la punta dell’indice mi tocca il clito in modo da toccarlo ma non pressando, mi sento quasi svenire, voglio che me lo sfreghi, ho voglia di un orgasmo istantaneo lui se ne accorge e tira via il dito.

“No, non devi venire, non ho ancora finito…” non vuole toccarmi e non vuole leccarmi ancora, stà aspettando che faccia un laghetto sul lenzuolo “Voglio che mi pisci in faccia i tuoi umori prima di farti godere”. Adesso dalla sua borsa vedo che tira fuori un cazzo di gomma, di sicuro non ne ha bisogno perché il suo è bello pimpante e ho una gran voglia di morderlo, ma evidentemente ha pensato per me tanti bei giochini prima di concedermi il suo.

“Rimani a pecora, metti le braccia avanti, abbassa il viso sul letto, il culo lo voglio vedere in aria e i tuoi buchini devono aprirsi quasi da soli”. Io faccio come vuole lui e vedo che si avvicina con quel cazzone di gomma, è rosa, grosso, lungo, sento che la mia fica lo vuole dentro. Senza preavviso alcuno me lo infila direttamente nell’utero, così grosso, freddo e lungo, mi sento piena un po’ infastidita perché il cazzo di un uomo non lo supera nessun vibratore, non mi stantuffa con quello non mi da il tempo di avere un orgasmo, lo ritira fuori subito, gronda dei miei umori e lo avvicina al mio buchino posteriore. E spinge.



Mi stà inculando con un pezzo di gomma lungo quanto il suo cazzo, un 18 cm, grosso tanto grosso, mi ha fatto molto male, ora mi sento molto piena ma neppure adesso mi da il tempo di avere un orgasmo. Lo tira fuori e me lo porta alle labbra. “Leccalo, tutto, senti come sei eccitata troiona, lo so che vuoi il mio ma per adesso accontentati di questo” Lecco il fallo di gomma, sento tutti i miei umori, il dolce della fica e l’acre del culo, sono sempre più eccitata. “Ti prego scopami, mettimelo dentro, sbattimi”, “No, non ancora, vieni qua, siediti a gambe larghe sulla sedia”, io lo faccio, mi siedo a gambe larghe, il freddo del legno sulla carne è come una scossa, appena appoggio la fica il legno si bagna lui è sempre lì che mi guarda, ora il suo cazzo è viola, enorme, durissimo, lo voglio. “Dammelo in bocca ti prego” “Si adesso te lo do, ma tu devi rimanere in questa posizione le mani dietro la schiena, me lo devi solo prendere in bocca senza le mani” Allora felice io lo inforco, lui spinge e quasi mi soffoca, sento finalmente il suo sapore, lo adoro, è duro come piace a me. Devo rimanere in questa posizione ed è come se mi scopasse la bocca a gambe larghe i miei umori si stanno raccogliendo sul sedile della sedia, poi lui si stacca, troppo presto “Ti prego ridarmelo in bocca lo voglio” “Adesso basta, inginocchiati davanti alla sedia” Io lo faccio “Adesso lecca tutto quello che hai fatto” Mi obbliga a leccare i miei umori che ho spanto durante il brevissimo pompino, mi piacciono, lecco di gusto lui mi guarda e per premio mi da da leccare la prima gocciolina, io me la gusto tutta.



“Rimettiti sul letto” Io lo faccio mi sistemo a pancia in su, per guardarlo “No, alla pecorina” Allora mi giro e sono di nuovo nella posizione di prima braccia in avanti e culo in aria.



Finalmente!

Mi stà leccando la figa ora, ahhhhhhh è quello che volevo, appena mi apre la micia e mi lecca il grillo vengo come una troia, ho un orgasmo a lungo trattenuto e lui se ne accorge, gemo e vibro, sgorgo come una fontana e lui beve, mugolando, gli piace la mia sborra, stò avendo ancora le contrazioni che lui mi gira violentemente e mi infila il cazzo in bocca appena in tempo per sentire la sua di sborra contro il mio palato, uno, due, tre, quattro getti violenti e succosi mi scivolano in gola, sono gustosissimi e io li bevo con cura. Lui rantola e mi tiene la testa ben ferma con le mani, finisce di godere.



Bene, la mia voglia di orgasmo non si è calmata ma solo rallentata, lui lo capisce, mi fa pulire per bene con la lingua il suo cazzo poi mi fa stendere sul letto.

Mi benda, cosa che mi piace da matti, sento che armeggia di nuovo con la sua ventiquattrore mi lega le mani alla testata del letto con un foulard ora sono completamente a sua disposizione.

Mi fa mettere in posizione ginecologica con le gambe sul seno, mi mette un cuscino sotto il sedere per alzarmelo.

Così ha disposizione tutti e due i miei buchi. Ora comincia il gioco delle mani, mi tocca la micina, mi tocca il buchino, mi allarga, mi tira mi stropiccia, la fica è completamente bagnata e così bagna anche il buchino, lui infila un dito dentro e vede che non faccio resistenza allora ne aggiunge un altro. Ho due dita nel culo che danzano facendomi godere come una matta.



Riprende il cazzone di gomma e lo infila nella micetta smaniosa, vede che sono contenta sorrido, mi contorco un po’, gli dico che mi piace, lo invito ad andare più forte. “Si vede che ti piace prenderlo, te lo gusti proprio” “Si, continua stantuffami, avanti e indietro, continua…” “Ho un’altra sorpresa per te….” Mi dice, smette di farmi i due buchi e io rimango li con il cazzone di gomma infilato nella fica ma che piano piano mi scivola via… senti dei rumori ma non riesco a capire cosa succede, poi finalmente lo sento, il suo cazzone nella fica……..completamente dentro, caldo, grosso come prima, mugolo, godo, riprendo a godere, ho un orgasmo dietro l’altro, le mie contrazioni sono moltissime, avvolgono il suo cazzo e lo spremono per bene, mi fa girare e mi ritrovo a cavalcarlo sempre durissimo e grosso, mi ma salire fin quasi a farlo uscire ed è li che capisco qual’era la sorpresa, un altro cazzo mi si è avvicinato e spinge sul buchino, capisco che il bastardo non era solo ma aveva un amico che aspettava un suo cenno, sono in trappola (non troppo direi) e li lascio fare, quello dietro mi penetra piano in sincronia con quello davanti, ora non so quale dei due sia lui, ma questi due cazzi e 4 mani che mi toccano mi fanno perdere la testa, adesso gli voglio, comincia a gridare “Dai, sbattetemi, più forte, scopatemi!” Che bello due cazzi tutti per me, che mi riempiono, non sono mai stata così contenta, così piena, credo di avere avuto una decina di orgasmi e poi a malincuore non mi hanno fatto bere la loro sborra, ma mi hanno riempito anche di quella.

Alla fine mi hanno sbendato e mi trovo davanti un uomo mai visto, bel viso e gran bel cazzo, uguale a quello del suo amico che scopro essersi riservato il culo, cosa di cui è molto ghiotto.

Andiamo tutti e tre in bagno e dopo averli lavati per bene, ritorniamo a letto e rimaniamo distesi a fumarci qualche sigaretta, prendiamo dal frigo bar qualcosa da bere e mentre ce ne stiamo lì distesi finalmente ci presentiamo……..




Invento una scusa con il mio compagno mi tengo libera un’intera giornata e gli do appuntamento a metà strada. Io arrivo con il treno e lui con la macchina.

Mi viene a prendere alla stazione e lo trovo in piedi ad aspettarmi, so che è lui perché avevo delle foto, oltre che del suo uccello, anche del suo viso.



Mi vede e mi riconosce anche lui, c’è un momento di imbarazzo da entrambe le parti e poi dico: “Beh eccoci qua, andiamo a bere qualcosa?” lui dice di si e ci rechiamo insieme in un bar li vicino, casualmente è vicino anche ad un albergo e la mia micetta trovandosi di fronte a quell’uomo che l’ha fatta bagnare e godere più volte nel corso dei nostri precedenti incontri virtuali, comincia a farmi capire che le andrebbe di conoscerlo sul serio.

Lui mi guarda e mi dice: “Sei meglio dal vivo, e tutta la ciccia che dicevi di avere a me sembra solo carne al posto giusto” So che lui non è romantico e letteralmente se ne frega di corteggiarmi, vuole scopare e questo lo so, lo voglio anch’io.



Finito di bere andiamo direttamente in albergo, senza tante cerimonie, intanto penso “se questa deve essere una gran trombata facciamola partire da subito”. Ci registriamo e poi saliamo in camera.

E’ una matrimoniale normale, non lussuosa ma tanto a noi non importa certo l’arredamento.

Appena entrati mi mette la lingua in bocca, io lo trovo fastidioso così lo allontano: “Cerchiamo di non fare tanto i romantici” dico io, “Va bene” concorda.



Ci spogliamo guardandoci negli occhi ma l’unica cosa che vedo nei suoi è la mia voglia repressa per mesi, dopo esserci tolti i vestiti lui mi guarda e mi fa capire che gli piaccio nonostante i miei chili in più. Mi porta in bagno e mi mette sotto la doccia dove ci laviamo a vicenda, giusto per non avere brutte sorprese.









Finalmente siamo sul letto e lui comincia a toccarmi dappertutto tranne che la mia micetta, mi accarezza il corpo con le mani aperte come volesse massaggiarmi ma non pressa come un massaggiatore, ben presto la mia micina comincia a bagnarsi, mi bagno le cosce e il mio odore si comincia a sentire nell’aria, io rimango distesa con gli occhi chiusi mentre lui continua la sua esplorazione senza mai toccarmi la fica. Ora ho un braccio sugli occhi e cerco di godermi quel contatto il più possibile, non ho ancora guardato il suo sesso se è cresciuto o no, onestamente in questo momento ho solo tanta voglia di farmi toccare la fica, la sento gonfia, il grilletto è già diventato duro, gli umori cominciano a colare, ho bisogno di essere scopata e lui lo sa, lo sente, per questo continua con il suo non-massaggio, per snervarmi e forse vuole che sia io a chiedere di sbattermi. Ma resisto, ho voglia di giocare.



Ecco ci siamo:

le sue mani mi allargano le cosce, ho le gambe allargate il più possibile e finalmente sento il tocco delle sue mani mi scostano le labbra della micia e gliele bagno, lui commenta “brava, vedo che sei come mi aspettavo, vediamo cosa abbiamo qua? Ah vedo un bel po’ di carne da stropicciare e succhiare e poi un delizioso grilletto da tormentare come piace a me” Più lui mi parlava più io mi bagnavo, tenevo sempre gli occhi chiusi, aspettavo che continuasse l’esplorazione, cominciavo veramente a non poterne più. “Dai, toccamela, infilami un dito, due, quanti ne vuoi” dissi “No, devi aspettare abbiamo tutto il giorno e ho voglia di guardartela ancora un po” Detto questo prese un torcia tascabile e l’accese sulla mia fica, voleva veramente guardarla!! A quel punto aprii gli occhi e lo vidi che si leccava le labbra mentre mi guardava la micia, quando vidi la voglia che aveva quell’uomo di avermi mi bagnai ancora di più, vidi che aveva un’erezione grandiosa, sapevo che aveva una gran cazzo ma non immagino che fosse così bello, mi venne voglia di prenderlo subito in bocca ma sapevo che lui non me lo avrebbe permesso.



Rimasi ancora così mentre lui mi studiava per bene, ad un tratto mi guardò negli occhi e mi disse di girarmi a pecora, lo feci e lui riprese a studiarmi con la luce anche in quella posizione, io mi eccitavo sempre di più e infine lui si decise finalmente a toccarmela.

Sempre a pecora, mi aprii le labbra con le dita e fece venir fuori il mio grilletto così gonfio e voglioso e in cerca di attenzioni, con la punta dell’indice mi tocca il clito in modo da toccarlo ma non pressando, mi sento quasi svenire, voglio che me lo sfreghi, ho voglia di un orgasmo istantaneo lui se ne accorge e tira via il dito.

“No, non devi venire, non ho ancora finito…” non vuole toccarmi e non vuole leccarmi ancora, stà aspettando che faccia un laghetto sul lenzuolo “Voglio che mi pisci in faccia i tuoi umori prima di farti godere”. Adesso dalla sua borsa vedo che tira fuori un cazzo di gomma, di sicuro non ne ha bisogno perché il suo è bello pimpante e ho una gran voglia di morderlo, ma evidentemente ha pensato per me tanti bei giochini prima di concedermi il suo.

“Rimani a pecora, metti le braccia avanti, abbassa il viso sul letto, il culo lo voglio vedere in aria e i tuoi buchini devono aprirsi quasi da soli”. Io faccio come vuole lui e vedo che si avvicina con quel cazzone di gomma, è rosa, grosso, lungo, sento che la mia fica lo vuole dentro. Senza preavviso alcuno me lo infila direttamente nell’utero, così grosso, freddo e lungo, mi sento piena un po’ infastidita perché il cazzo di un uomo non lo supera nessun vibratore, non mi stantuffa con quello non mi da il tempo di avere un orgasmo, lo ritira fuori subito, gronda dei miei umori e lo avvicina al mio buchino posteriore. E spinge.



Mi stà inculando con un pezzo di gomma lungo quanto il suo cazzo, un 18 cm, grosso tanto grosso, mi ha fatto molto male, ora mi sento molto piena ma neppure adesso mi da il tempo di avere un orgasmo. Lo tira fuori e me lo porta alle labbra. “Leccalo, tutto, senti come sei eccitata troiona, lo so che vuoi il mio ma per adesso accontentati di questo” Lecco il fallo di gomma, sento tutti i miei umori, il dolce della fica e l’acre del culo, sono sempre più eccitata. “Ti prego scopami, mettimelo dentro, sbattimi”, “No, non ancora, vieni qua, siediti a gambe larghe sulla sedia”, io lo faccio, mi siedo a gambe larghe, il freddo del legno sulla carne è come una scossa, appena appoggio la fica il legno si bagna lui è sempre lì che mi guarda, ora il suo cazzo è viola, enorme, durissimo, lo voglio. “Dammelo in bocca ti prego” “Si adesso te lo do, ma tu devi rimanere in questa posizione le mani dietro la schiena, me lo devi solo prendere in bocca senza le mani” Allora felice io lo inforco, lui spinge e quasi mi soffoca, sento finalmente il suo sapore, lo adoro, è duro come piace a me. Devo rimanere in questa posizione ed è come se mi scopasse la bocca a gambe larghe i miei umori si stanno raccogliendo sul sedile della sedia, poi lui si stacca, troppo presto “Ti prego ridarmelo in bocca lo voglio” “Adesso basta, inginocchiati davanti alla sedia” Io lo faccio “Adesso lecca tutto quello che hai fatto” Mi obbliga a leccare i miei umori che ho spanto durante il brevissimo pompino, mi piacciono, lecco di gusto lui mi guarda e per premio mi da da leccare la prima gocciolina, io me la gusto tutta.



“Rimettiti sul letto” Io lo faccio mi sistemo a pancia in su, per guardarlo “No, alla pecorina” Allora mi giro e sono di nuovo nella posizione di prima braccia in avanti e culo in aria.



Finalmente!

Mi stà leccando la figa ora, ahhhhhhh è quello che volevo, appena mi apre la micia e mi lecca il grillo vengo come una troia, ho un orgasmo a lungo trattenuto e lui se ne accorge, gemo e vibro, sgorgo come una fontana e lui beve, mugolando, gli piace la mia sborra, stò avendo ancora le contrazioni che lui mi gira violentemente e mi infila il cazzo in bocca appena in tempo per sentire la sua di sborra contro il mio palato, uno, due, tre, quattro getti violenti e succosi mi scivolano in gola, sono gustosissimi e io li bevo con cura. Lui rantola e mi tiene la testa ben ferma con le mani, finisce di godere.



Bene, la mia voglia di orgasmo non si è calmata ma solo rallentata, lui lo capisce, mi fa pulire per bene con la lingua il suo cazzo poi mi fa stendere sul letto.

Mi benda, cosa che mi piace da matti, sento che armeggia di nuovo con la sua ventiquattrore mi lega le mani alla testata del letto con un foulard ora sono completamente a sua disposizione.

Mi fa mettere in posizione ginecologica con le gambe sul seno, mi mette un cuscino sotto il sedere per alzarmelo.

Così ha disposizione tutti e due i miei buchi. Ora comincia il gioco delle mani, mi tocca la micina, mi tocca il buchino, mi allarga, mi tira mi stropiccia, la fica è completamente bagnata e così bagna anche il buchino, lui infila un dito dentro e vede che non faccio resistenza allora ne aggiunge un altro. Ho due dita nel culo che danzano facendomi godere come una matta.



Riprende il cazzone di gomma e lo infila nella micetta smaniosa, vede che sono contenta sorrido, mi contorco un po’, gli dico che mi piace, lo invito ad andare più forte. “Si vede che ti piace prenderlo, te lo gusti proprio” “Si, continua stantuffami, avanti e indietro, continua…” “Ho un’altra sorpresa per te….” Mi dice, smette di farmi i due buchi e io rimango li con il cazzone di gomma infilato nella fica ma che piano piano mi scivola via… senti dei rumori ma non riesco a capire cosa succede, poi finalmente lo sento, il suo cazzone nella fica……..completamente dentro, caldo, grosso come prima, mugolo, godo, riprendo a godere, ho un orgasmo dietro l’altro, le mie contrazioni sono moltissime, avvolgono il suo cazzo e lo spremono per bene, mi fa girare e mi ritrovo a cavalcarlo sempre durissimo e grosso, mi ma salire fin quasi a farlo uscire ed è li che capisco qual’era la sorpresa, un altro cazzo mi si è avvicinato e spinge sul buchino, capisco che il bastardo non era solo ma aveva un amico che aspettava un suo cenno, sono in trappola (non troppo direi) e li lascio fare, quello dietro mi penetra piano in sincronia con quello davanti, ora non so quale dei due sia lui, ma questi due cazzi e 4 mani che mi toccano mi fanno perdere la testa, adesso gli voglio, comincia a gridare “Dai, sbattetemi, più forte, scopatemi!” Che bello due cazzi tutti per me, che mi riempiono, non sono mai stata così contenta, così piena, credo di avere avuto una decina di orgasmi e poi a malincuore non mi hanno fatto bere la loro sborra, ma mi hanno riempito anche di quella.

Alla fine mi hanno sbendato e mi trovo davanti un uomo mai visto, bel viso e gran bel cazzo, uguale a quello del suo amico che scopro essersi riservato il culo, cosa di cui è molto ghiotto.

Andiamo tutti e tre in bagno e dopo averli lavati per bene, ritorniamo a letto e rimaniamo distesi a fumarci qualche sigaretta, prendiamo dal frigo bar qualcosa da bere e mentre ce ne stiamo lì distesi finalmente ci presentiamo……..


Anna

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Scende la sera by admin

Scende la sera. Siamo seduti proprio sotto l’angolo nord-est del tempio Maya delle Iscrizioni e, guardando verso nord i nostri sguardi si perdevano nella giungla.

La notte inizia ad avvolgere questo luogo magico e crudele allo stesso tempo.

Abbiamo molti ricordi legati a questi luoghi, è il punto di partenza del nostro primo ed unico viaggio insieme.

Ci siamo incontrati qua dieci anni fa.

Quando conobbi Marzia era un giorno di sole e i suoi capelli blu mi ricordavano le onde del mare. Lunghi riccioli blu che cadevano morbidi e delicati sulle spalle. Era conturbante nella bocca, nello sguardo, nei capelli … e poi aveva un modo tutto suo di indossare i vestitini a fiori in stile Lolita!

Vestiti a fiori un posto come questo.

Faceva parte della squadra di archeologi e astronomi che studiavano il Ragno nazca. Era approdata in Messico per alcune ricerche e sarebbe ripartita due giorni dopo alla volta del Perù.

Ci trovammo subito. Entrambi eravamo affascinati dalle civiltà che avevano vissuto in quei luoghi.

Voleva vedere il Machu Pichu. Mi inondava di parole e nozioni sugli allineamenti astronomici che facevano pensare all’esistenza di una civiltà precedente agli Inca.

Era un vulcano di parole e di vitalità. Così le promisi di accompagnarla nel pomeriggio a vedere “l’attracco del Sole”.

La strada per arrivarci era molto più impervia del solito a causa della pioggia caduta nei giorni passati.


Ma dopo un paio di ore di cammino arrivammo, attraversato il cancello ci accolsero le imponenti murature a puzzle. Non c’erano molti turisti, qualche figura qua è la, assorte dalle massicce fortificazioni e dalle leggende che portavano con se.

Anche a Marzia piacevano le leggende e le storie che si narravano sui quei luoghi .

“Gli dei si riunirono e si chiesero ansiosi chi sarebbe stato il nuovo Sole. Qualcuno dovrà sacrificarsi e solo allora ci sarà il Sole”

Era in piedi sulla roccia e con una mano indicava il cielo.

Mi avvicinai, lei si abbassò e mi baciò. Sentivo la sua lingua sfiorare la mia. Si stacco di scatto da me, sgrano gl’occhi e mi confidò di voler essere lei il nuovo sole.

Mi colse di sorpresa …. Non capivo. Mi afferrò per il bavero della camicia e mi spinse sulla roccia più alta.

“ sei tu la vittima da immolare”

fu sopra di me, mi avvolse in un abbraccio soffocante. Sentivo il suo profumo e sentivo battere il suo cuore.

Marzia sciolse l’abbraccio divaricando le gambe si accovaccio su di me. Il suo sguardo era di fuoco. Mi spogliò lentamente. Le sue mani perlustravano il mio corpo. Ero immobile, le mie membra non ubbidivano al cervello, per quanto mi sforzassi di toccarla le mie mani non si muovevano, le gambe erano pesanti ….

Le labbra del sesso di lei si chiusero sulla mia erezione e il gelo mi avvolse e mi ritrovai ad urlare. Lei diede inizio alla sua danza di sussulti e fremiti.

Gridavo e graffiavo il terreno, spinto al terrore estremo del piacere che sentivo risalire nel midollo spinale.

“non aver paura” mi sussurrava. Poi si staccò lasciandomi tremante sulla nuda roccia.

La implorai di non lasciarmi, di non smettere.

L’unica cosa che mi disse fu “Puna” e se ne andò.

Con fatica mi alzai, mi vesti e le corsi dietro. Volevo capire, Puna cos’era, cosa significava.

Più chiedevo spiegazioni più lei si chiudeva nel suo silenzio.

Stavamo per arrivare al campo, quando stufo ed irritato da quel mutismo la presi per un braccio e fissandola le chiesi spiegazioni.

“Puna è un altopiano dell’Ecuador, varia tra i 4.000 e i 5.000 metri, ha i colori del sole, tutt’intorno ci sono i grandi vulcani andini: viola, verdi e rossi. Il cielo è un cristallo. Puna è una parola “quechua” e significa deserto. L’unica cosa che c’è lassù è il sole. Parto stasera se vuoi venire c’è un posto”

Non me lo feci ripetere due volte. Arrivati all’accampamento raccolsi le mie cose e dopo poco eravamo sull’aereo che ci avrebbe portato a Quito. Sorvolammo l’oceano Pacifico sotto di noi il buio. Lei si addormentò poco dopo il decollo.

Mi ritrovai a pensare a quello che era successo quel pomeriggio era tutto incredibilmente assurdo la mia compagna di viaggio era assurda. A pensarci bene sembrava il personaggio folle di qualche film americano.

Ma era quella follia che amavo in lei e che amo tutt’ora. La guardavo mentre dormiva e mi accorgevo che aveva il fascino di chi sa esattamente quello che vuole e non ha paura a prenderselo.

Mi addormentai anch’io. Ci risvegliammo entrambi poco prima dell’atterraggio.

Era mattina e poco fuori da Quito c’era una jeep che ci aspettava per accompagnarci a Guaranda.

Marzia chiese al ragazzo che ci doveva accompagnare di tornarsene da dov’era venuto perché non voleva nessun altro che me.

La lascia fare.

Mi diede le chiavi, la carta geografica e partimmo.

Per più di mezz’ora non pronuncio parola, finché con un dito mi indico il “salar” mi dovetti fermare perché come diceva lei “non ci correva dietro nessuno”. Scese e andò a vedere da vicino.

Ripartimmo. Intorno a noi il nulla e su di noi il sole.

Colpisce della Puna il silenzio assoluto. E’ un silenzio pieno e gonfio, ti entra dentro e porta pace.

Dopo due ore di viaggio, Mi guardò e con un tono più di meraviglia che di preoccupazione me annunciò che ci eravamo persi!

“ non che non ci siamo persi”

“si invece”

La luce fortissima del cielo la attraversava da parte a parte, è l’ombra che improvvisamente si stampò sul suo volto, la mostrava in una bellezza lancinante.

“Come dici tu, non ci corre dietro mica nessuno, giusto?”

La Puna è veramente bella, è ogni tanto il paesaggio cambia ed è facile perdersi.

È come la superfice di una grande sfera senza appigli, né asperità di sorta e stabile un prima ed un dopo è difficile.

Nessun grido poteva squarciare la superfice della sfera, come più o meno in un sogno. Eravamo parte di quella sfera. Non ne potevamo uscire.

Fermai il fuoristrada ed uscimmo. Mancava l’aria.

Rientrammo in macchina

“ che ne sarà di noi”

Mi si accoccolo a fianco, La strinsi a me, le accarezzai le guance seminascoste dai capelli, poi il collo. Le labbra di Marzia erano secche come carta crespa. Le inumidii a fatica. I baci nella Puna non possono durare molto. Ogni bacio è breve, è un assaggio di bacio, e poi bisogna riprendere fiato, e il sangue martellava nelle tempie e il mal di testa cresceva fino a esplodere. L’eccitazione di lei era già robusta sebbene il sangue scorreva più lentamente.

Non sapevo fino a che punto spingermi, per un attimo mi chiesi se non era il caso di smettere e trovare una soluzione al nostro smarrimento.

Staccai le labbra da quelle di Marzia, mi guardò senza sapere cosa fare o cosa dire, smarrita com’era in quei baci sincopati ed interrotti.

Poteva essere la nostra ultima notte, pensò Marzia e lo spavento accresceva l’eccitazione nuova, mescolata al mal di testa e alla poca aria dell’abitacolo già freddo.

Marzia s’abbandonò al soffocamento come ad un’altalena, le cui oscillazioni la portavano sempre più in alto per poi sprofondarla a grande velocità e in fondo non c’era niente se non il fiato che manca e la voglia di ricominciare.

Ci lasciammo sprofondare ad occhi chiusi e a bocca aperta, impastata dalla poca saliva.

L’aria mancava, il soffocamento cresceva, il pulsare del sangue disperato correva su e giù per il corpo in cerca di ossigeno, il cuore che batteva sempre più forte.

Era la nostra ultima notte d’amore, era la nostra notte della fine del mondo e Marzia sorrideva senza sapere se era un orgasmo quello che l’aveva afferrata, schiaffeggiata e tramortita oppure se era l’ossigeno che se ne era andato del tutto e fuori c’era soltanto la notte fredda e l’aria era vuota. Il silenzio altissimo e la nostra terra era finita …….. un pò come questa notte che sta scendendo nuovamente su di noi, su questi luoghi magici e crudeli. L’unica differenza e che noi, ora abbiamo una nuova terra ed un nuovo sole.


Zell

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